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Antonio Silvio Calò e i suoi ragazzi “dentro”

Il suo libro nasce da un’esperienza eccezionale nella sua ordinarietà.

“Nel 2015 – spiega a “Più libri, più liberi”, intervistato da Angelo Melone nello spazio allestito di Arena Robinson del supplemento culturale de “la Repubblica – dinnanzi all’ennesimo naufragio di un barcone al largo della Sicilia, decisi che non potevo più rimane a guardare. Il mio senso d’impotenza di fronte a quelle immagini di morte e disperazione mi spinse ad andare nella Prefettura del mio Paese e cominciare un percorso umano, prima che amministrativo-burocratico, che mi ha portato ad ospitare nella mia casa sei ragazzi immigrati dall’Africa”.

Comincia così il racconto dell’insegnante veneto che è diventato un caso internazionale. Insignito dell’onorificenza di Ufficiale della Repubblica e premiato come cittadino dell’anno al Parlamento europeo, testate giornalistiche nazionali ed internazionali si sono occupati di lui.

Insegnante, marito e già padre di quattro figli, non ha mai rinnegato la sua scelta di ospitare sei immigrati dentro casa. Anzi. “Ci siamo divisi i compiti dentro casa. Certo all’inizio non è stato facile. Ma poi l’integrazione è andata a buon fine con tutti e sei che hanno trovato un lavoro ed una casa.”

“Un’esperienza umana che mi ha cambiato la vita e che mi ha dato molto.” Da quell’esperienza nasce dunque il libro “Si può fare. L’accoglienza diffusa in Europa” (edizioni “nuovadimensione” – 2021). Il suo è diventato un modello di accoglienza che già in alcuni comuni europei stanno sperimentando.

La copertina del libro che ritrae lo stesso Calò con la sua famiglia “allargata”

E’ il modello 6+6×6 che così lo stesso Calò esplica: “se ogni comune di cinque mila abitanti prevedesse l’accoglienza di sei migranti in una struttura tipo casa-famiglia ci sarebbe un’equipe di sei professionisti a seguirli (da qui 6+6), che a loro volta seguirebbero sei nuclei. In questa maniera ci sarebbero i fondi pubblici per farlo ed un’autosufficienza economica.”

“Insomma quello che riesce a fare una famiglia “comune” – dice calò – dovrebbe a maggior ragione riuscire a farlo l’istituzione pubblica.”

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