cultura – da novembre 2012 a febbraio 2018

Matera pop

Di Giampiero Calia – 13 febbraio 2018

MATERA – Alcune delle famose stampe (serigrafie e litografie di ritratti di personaggi famosi) di Andy Warhol (ma anche alcuni degli oggetti iconici, come la “famosa” conserva Campbell o schizzi a matita) già sono state esposte in quel di Matera (lo avevano fatto alcune gallerie private, come “Opera Arte e Arti” di Enrico Filippucci o la “Galleria Albanese”); ma negli ultimi mesi il “genio” di Warohl e la pop art sono di casa nella città dei Sassi.

In due mostre consecutive (la prima da febbraio a marzo dello scorso anno; la seconda da novembre a febbraio 2018), organizzate dalla Fondazione Sassi e curate da Graziano Menolascina, sono stati esposti decine di lavori dell’artista newyorkese. Entrambe le mostre sono state allestite in spazi espositivi nel pieno dell’antico rione di tufo materano e dunque inserite in un “circuito” che ha raggiunto migliaia di visite.

La prima di queste mostre (stessa organizzazione e stesso curatore), “Made in USA by Andy Warhol”, è stata portata anche in altre città d’Italia (Bari e Roma, in particolare); la seconda, “Matera universo pop”, è invece unica ed è stato possibile visitarla fino al 4 febbraio.

Oltre a poter conoscere, in particolar modo, la tecnica (che prevedeva la foto in polaroid con posa imposta e schizzi a matita) utilizzata da Andy Warhol per i famosi ritratti, è stato possibile ammirare anche il particolare “tocco” di Keith Haring (uno dei primi urban writers, che ha influenzato generazioni di grafici e designers), lo stile geometrico e cubista di Robert Indiana, i lavori di pittura ed antropologia di Robert Rauschenberg, le pitture “illustrazioni” del fumettista Roy Lichtenstein.

 

 

Mostra “Milano.. e la mala”

Di Giampiero Calia 24 gennaio 2018

 

MILANO –  Negli spazi espositivi al piano terra di Palazzo Morando, sede del “museo del costume della moda e delle immagini” (siamo in via S. Andrea in pieno quadrilatero della moda), ci si immerge nella Milano “nera” (resa famosa al cinema da film come “Banditi a Milano”, “Milano violenta”, “Milano calibro 9”, ecc.), quella delle rapine, dei banditi,  e delle evasioni celebri; quella in cui, dagli anni quaranta agli ottanta, imperversavano bande di criminali dedite alle rapine, al controllo di gioco d’azzardo e prostituzione, al traffico di stupefacenti. Dalla “Ligera” (termine che indica la particolare struttura, leggera appunto, delle prime bande milanesi che si “scioglievano” subito dopo un “colpo”) dei primi del novecento si passa a forme sempre più organizzate di criminalità.

Alla rassegna (organizzata dall’associazione “Spirali d’idee”, a cura di Stefano Galli) “Milano e mala. Storia criminale della città dalla rapina di via Osoppo a Vallanzasca” hanno collaborato, tra gli altri, Piero Colaprico (giornalista e scrittore, autore di articoli e libri sulla “malavita” milanese; colui che, tra l’altro, ha coniato il termine “tangentopoli”) e Massimo Mazza (già dirigente della squadra mobile di Milano). In mostra, fino all’11 febbraio, foto d’epoca, ritagli di giornali, rapporti e reperti (tra cui un intero arsenale, come quelli in uso ai componenti de alcune delle bande che imperversavano nel milanese tra gli anni ’50 e ’80) della Questura milanese, che raccontano le gesta criminali di “personaggi” come Frank Turatello, Angelo Epaminonda, Luciano Liggio, Renato Vallanzasca, tra morti ammazzati, fiumi di denaro, sale da gioco e night club. Bande di criminali che mettevano a ferro e fuoco la città con episodi criminali rimasti appunto nella storia “nera” della città come la rapina in via Osoppo o la sparatoria di piazza Vetra.

 

 

Corrado Augias su “L’isola deserta”.

Di Giampiero Calia – 24 ottobre 2017

 

MATERA – L’anteprima della trasmissione radiofonica di Radio tre “l’isola deserta” si è tenuta in occasione  della kermesse di “Materadio 2017” lo scorso settembre.

“Che libro, che film e che brano musicale porterebbe con sé nell’infausta ipotesi di un naufragio su un’isola deserta?”-  la domanda, tutta intellettuale ed ipotetica, che la scrittrice Chiara Valerio ha rivolto al giornalista e scrittore Corrado Augias.

“Intanto restringerei il campo a sole opere italiane: innanzitutto porterei l’opera omnia di Giacomo Leopardi, per la forza visionaria del pensatore. Poi la “Dolce vita” di Fellini per l’intuizione di come due fatti di cronaca (in particolare l’omicidio Montesi) accaduti negli anni ‘50, potessero essere indicativi delle trasformazione sociali in atto in quel periodo. Infine tutte le ventisette opere di Giuseppe Verdi, soprattutto “Rigoletto”, “Il trovatore” e “La traviata” con cui Verdi ha fotografato l’italia. In tutti e tre i casi gli autori hanno detto, con forza visionaria ed intuizione, esattamente chi siamo noi italiani.”

“Se infine – ha chiesto la Valerio nella successiva domanda – venissero a dirle che la salverebbero dall’isola in cambio dell’abiura delle sue convinzioni sulla Chiesa cattolica, lei cosa farebbe?”

“Beh, sarebbe un ricatto. Ad ogni modo mi viene in mente l’episodio accaduto a Galileo Galilei al quale gli fu posta quest’alternativa: la rinuncia alle sue convinzioni scientifiche o il rogo. La sua saggezza gli suggerì di abiurare pubblicamente, salvo poi continuare i suoi esperimenti nel “segreto” del suo studio.”

 

Basilicata e mezzogiorno/recensioni e interviste
Toni Servillo canta la “lingua napoletana”.
La forza rivoluzionaria di una “lingua” ed il rapporto tra linguaggio e potere
 (di Giampiero Calia – 20 settembre 2017)

​​​​​​​  Il napoletano è una vera e propria lingua, nel senso che l’appartenenza  dei napoletani alla loro identità si esprime in maniera specifica nell’idioma napoletano (una vera e propria lingua, non solo dialetto). E come in letteratura esiste un rapporto specifico tra linguaggio utilizzato e potere (pensiamo ad esempio a Bulgakov che nelle sue opere, soprattutto “Cuore di cane” e “Il maestro e Margherita”, critica la Russia comunista o a Burroughs che, con la tecnica del cut up, con i continui flashback, in romanzi come “Il pasto nudo” o “La scimmia sulla schiena”, fa lo stesso con l’America capitalista) così anche nella realtà storica di un territorio esiste tale rapporto, e Napoli ne rappresenta alla perfezione un esempio. Napoli invece di per sé è letteratura, Pulcinella è la fantasia (o meglio l’anarchia) al potere. il “napoletano” ha una sua forza specifica e racchiude l’identità e la storia stessa della città, un’identità ed una storia caratterizzate da insofferenza al potere.

Uno spettacolo, passato piuttosto sotto silenzio, si è tenuto lo scorso 30 giugno a Matera: è il monologo teatrale, “Servillo legge Napoli”, di cui Toni Servillo, appunto, ne è autore, regista ed interprete.
Testi scritti, ma non destinati al teatro, di autori napoletani (comunque registi o attori, da Eduardo e Viviani fino a Landa o Borrelli, e cioè dall’inizio del ‘900 ai giorni nostri) letti da colui che è considerato oggi forse il più bravo attore italiano contemporaneo. Ciò che emerge da un’ora e mezzo di spettacolo è una Napoli fatta di odori, tradizioni, vissuti, suoni, ma soprattutto di una “lingua” valorizzata prima da attori, registi, poeti e letterati e poi dallo stesso Servillo. Ma prima ancora da una galleria di personaggi (presi dai vicoli della Napoli popolare, dai sogni di poeti ubriachi) che va da De Pretore Vincenzo (Eduardo De Filippo) a “’o viecchio sott’o ponte” (Maurizio De Giovanni), dal netturbino de “La livella” (Totò) al “fravecature” (Raffaele Viviani) in una “Divina Commedia al contrario” che comincia dal Paradiso e si conclude con l’Inferno .
Insomma una “lingua” figlia di un popolo creativo per necessità e per passione, una creatività che è insofferente al potere perché fantasiosa e anarchica.

La scena creativa napoletana
Un’altra produzione teatrale napoletana, “Sanghenapule”, racconta il “caleidoscopio” napoletano. Qui l’attore ed autore Mimmo Borrelli recita “Napoli”, poesia – fiume ripresa dallo stesso Servillo per il suo spettacolo. foto
I Manetti bros a Venezia hanno presentato “Ammore e malavita” ed in un’intervista hanno declamato le lodi di Napoli. Romani, hanno deciso di fare un film-musical su Napoli, perché convinti che la città partenopea sia la vera capitale culturale d’Italia. Ed infatti  sarebbe una lista troppo lunga quella che comprende musicisti, cantanti, attori e poeti che hanno fatto di Napoli un simbolo nel mondo. Ma due soli dati, attuali, riescono a dare un’idea del fermento creativo napoletano, quanto meno nel settore del cinema: all’ultima mostra del cinema di Venezia si è parlato molto napoletano, con almeno due film su Napoli o di autori napoletani (“Ammore e malavita” appunto e il film d’animazione “Gatta cenerentola”) in concorso ed altri fuori concorso, mentre finanziamenti pubblici (con fondi statali o europei) sono andati ad una settantina di produzioni napoletane.

 

Il Pirandello della Pizzi nel “Ngè ngè” di Lo Verso.

di Giampiero Calia – 21 marzo 2017

MATERA – Un solo attore in scena per interpretare il più celebre dei drammi pirandelliani: quello della disgregazione dell’io (tema che caratterizza buona parte della letteratura, soprattutto del novecento), della perdita d’identità (tema che colloca Pirandello affianco a Kafka nell’indagine psicologica dell’uomo “contemporaneo”), insomma quello di Vitangelo Moscarda, oppresso dalle convenzioni sociali, dal matrimonio e della famiglia.

“Uno, nessuno e centomila”, messo in scena a Matera nell’adattamento teatrale di Alessandra Pizzi, propone un Enrico Lo Verso che interpreta “’Ngè ngè” (come la moglie chiama Vitangelo) in un monologo  incalzante e su di un palco scarno (con solo degli specchi a fare da scenografie).

In circa un’ora e mezza di spettacolo Lo Verso ripercorre la crisi d’identità del personaggio: prima il suo rapporto con la moglie, poi con il padre banchiere ed infine con la gente “umile” che lo considera un usuraio.

Un testo, quello di Pirandello, che affonda il coltello nell’animo umano ma anche attraversa lo spaccato sociale. Insomma un’opera che è, e rimane, contemporanea per i temi trattati.

Nell’interpretazione di Lo Verso (un vero e proprio atto d’amore per la sua terra, la Sicilia, e per il suo esponente forse più illustre, Pirandello) emerge una forte sicilianità, espressa da un attore che si muove sul palco con tutta la sua fisicità, con un linguaggio (quello che emerge dal testo riadattato dalla Pizzi e dalla regia della stessa) che è quello della Sicilia di oggi.

Quanto ci sia di autobiografico in “Uno, nessuno e centomila”, ed in realtà in tutte le altre opere di Pirandello, ce lo dice G. Baldi (uno dei più importanti critici pirandelliani): è nel riferimento alla famiglia agiata e borghese (questo emerge soprattutto nella novella “La giara”), nel suo stesso sentimento di “non appartenenza”, di “scontentezza” (lo sdoppiamento ne “Il fu Mattia Pascal” ne è una prova)  ed anche nel mettersi dal punto di vista della classe popolare, degli “ultimi” ( l’opera incompiuta e postuma de “I Giganti della montagna” rappresenta infatti proprio l’adesione di Pirandello alle ragioni dei più sfortunati).

E’ nel finale dello spettacolo poi che si risolve la crisi del personaggio. “Siamo figli del caos” è la citazione che si riferisce anche al paese natale di Pirandello e che campeggia sulla quinta del palco.

 

Sara Ficocelli: “La vita nascosta” (Mds editore) – di Giampiero Calia – 12 GENNAIO 2017

MATERA – Sullo sfondo di una Roma feroce (esattamente nel mezzo tra l’alta borghesia pariolina ed il sottoproletariato di un campo rom) si muovono i personaggi tragici ed “ingenui” (alcuni dei quali, nei ritratti fatti dall’autrice, si rifanno per sua stessa ammissione ai ragazzi di vita pasoliniani) di un romanzo che passa dal noir al grottesco (con venature anche comiche). E sono le vite di questi personaggi che Ficocelli attraversa, fino ai loro più autentici desideri, con una scrittura asciutta ed un ritmo sincopato. Personaggi ai margini di una Roma che purtroppo abbiamo imparato a conoscere anche grazie ad inchieste giudiziarie quali quelle sulla prostituzione minorile ai Parioli o quella di Mafia capitale. E così che Ficocelli segue dunque le vicende di Mauro e di Roberto, baristi un po’ fascistoidi, ma soprattutto di Iris e Aneta, transessuale la prima e bambina rom la seconda.

Collaboratrice di Repubblica (e di altre testate dello stesso gruppo editoriale), l’autrice (di Pisa come la giovane casa editrice, Mds editore) conosce bene le tristi e note vicende della capitale: si è occupata, tra l’altro, di donne e walfare, nonchè di prostituzione minorile.

“Descrivo un mondo che non conosco dal di dentro ma che è frutto del mio lavoro giornalistico. – ha spiegato durante l’incontro materano organizzato dall’associazione “leggère controvento” – Al Quadraro (ndr: quartiere di Roma) dovevo incontrare un tizio per un’inchiesta sulla prostituzione, ho conosciuto così un transessuale e dal materiale raccolto ne ho tratto il nocciolo del romanzo.”

 

“Mille anni che sto qui” in scena a Matera – di Giampiero Calia – dicembre 2016

E’ il primo di una serie di tre monologhi tratti dal romanzo vincitore    del Campiello 2007

MATERA – E’ stato messo in scena il primo dei tre monologhi tratti da “Mille anni che sto qui” (di Mariolina Venezia, Einaudi editore). Il posto: Casa cava a Matera. La kermesse: Materadio 2016. Per prepararsi allo spettacolo l’autrice lucana (ma vive tra Roma e Parigi) è tornata per ispirarsi nei luoghi della sua infanzia, a Grottole, ma questa volta lo ha fatto insieme a colei che ha prestato voce e corpo a Concetta, l’attrice (milanese d’adozione) Egidia Bruno.

La contadinella lucana, violentata da uno dei signorotti locali, è il primo dei personaggi del libro, ed anche il primo ad essere messo in scena in una scarna scenografia (per quanto scarna possa essere una ex cava di tufo trasformata in contenitore culturale).

“Come si è posta rispetto all’adattamento teatrale di una propria opera?” – abbiamo chiesto all’autrice (la Venezia è anche regista dello spettacolo)

“La natura stessa del romanzo – ha rimarcato l’autrice – e del contesto narrato, ossia la trasmissione orale della cultura in quei racconti di donna del suo paese, ha sicuramente condizionato la messa in scena del primo dei tre monologhi previsti dal piano dell’opera”.

“Da dove nasce – le abbiamo chiesto per ultimo – la lingua del romanzo?”

“L’uso di un particolare linguaggio (il dialetto) – ci ha dunque risposto – nasce invece dal carattere proprio dei personaggi; la stessa Concetta nell’ottocento usava proprio il dialetto, che è una lingua particolarmente calda sia per il romanzo che per l’opera teatrale”

foto sopra: immagine di copertina pagina facebook “Mille anni che sto qui – lo spettacolo”, foto di copertina da Einaudi.

 

Mariolina Venezia “Racconta Matera”

Maggio ’15

MATERA – Erano gli anni ’90, quando la vincitrice del Campiello 2007, Mariolina Venezia, cominciava a pubblicare racconti con Marcello Fois.. I due, insieme a  Antonio Pascale, Anilda Ibrahimi, Paolo di Paolo e Nadia Terranova, hanno dato vita alla kermesse, “RaccontaMatera”, in vista della partecipazione della Regione Basilicata (con un proprio stand per circa due settimane)  all’Expo milanese. Sarà infatti proprio la scrittrice, originaria di un paese in provincia di Matera, Grottole, a rappresentare (insieme a Raffaele Nigro) il territorio lucano.

Sceneggiatrice, poetessa e scrittrice, l’autrice lucana vive tra l’Italia (Roma), la Francia, la Turchia.

“Il lavoro in televisione sta un po’ stretto – ha spiegato durante l’incontro in cui i due suoi colleghi, Marcello Fois e Antonio Pascale, l’hanno intervistata (questa la formula di cinque incontri in cui ognuno degli autori in sostanza ha raccontato il suo rapporto con la città di Matera, il tutto compendiato in una serata conclusiva in cui i sei autori hanno letto le pagine dei rispettivi racconti partoriti durante i sei giorni della manifestazione) ; – perché comunque devi sottostare alle esigenze piuttosto rigorose della produzione; con la stesura dei romanzi, invece, ho sicuramente maggior libertà espressiva.”

Mariolina Venezia è assurta alla ribalta nazionale con il libro “Mille anni che sto qui” (un romanzo in cui si ripercorrono le tracce di una famiglia lungo il corso della Storia), pubblicato da Einaudi; ha poi scritto “Come piante tra i Sassi” ed infine “Maltempo” (entrambi pubblicati da Einaudi), romanzi con i quali la scrittrice ha virato al giallo, con le storie del Pubblico Ministero Imma Tataranni.

 

Matera e Olivetti: conversazioni con Albino e Leonardo Sacco

Marzo ’15

MATERA – E’ stato presentato, alla fine di gennaio scorso, un progetto editoriale della Fondazione “A. Olivetti”: un volume scaricabile su internet sul rapporto tra l’industriale piemontese ed il territorio di Matera. Com’è noto Olivetti è stato uno di quegli imprenditori che praticava la responsabilità sociale dell’impresa ben prima che questa diventasse anche una formula di marketing: il concetto (poi messo in pratica in diverse zone dell’Italia dov’erano gli stabilimenti, in particolare nella sua Ivrea) di “comunità olivettiana” è quell’esperimento sociale per cui l’industria non può essere sganciata dal concreto tessuto sociale in cui si inserisce. Adriano Olivetti (autore di molte pubblicazioni) teorizzò anche, e mise in pratica, il famoso rapporto (non superiore a 10:1) tra lo stipendio del “capo” e quello dell’ultimo dei suoi operai.

Il legame di Olivetti con Matera in molta parte è dovuto all’Istituto Nazionale di Urbanistica (di cui Olivetti era presidente) che a Matera aveva tra i suoi promotori personaggi come Leonardo Sacco (decano dei giornalisti lucani) o Raffaele Giuralongo (senatore e professore universitario) che hanno dato un enorme contributo alla crescita culturale e politica del territorio.

 

“Basilicata, terra di mezzo” e “Africanità. Cittadini del mondo”: l’anima lucana delle radici e dell’accoglienza

Febbraio ’15

MATERA – Due pubblicazioni che vale la pena di recensire per due ordini di motivi: perché esprimono l’essenza del concetto “glocal” (fatto proprio anche dalla nostra rivista) e soprattutto perché esprimono altrettanti modi di rappresentare l’anima lucana delle radici e dell’accoglienza.

Gaetano Plasmati è fotografo professionista: ha alle spalle decine di viaggi nelle zone più impervie del mondo, viaggi che poi puntualmente fa conoscere tramite i suoi scatti in una Galleria che gestisce. “Basilicata, terra di mezzo” è il reportage dalla sua regione, di cui racconta natura, popolo e riti.

Pape Gora Tall vive a Matera, dove lavora da diversi anni. Sin dal suo arrivo si è ben inserito ed è stato impegnato con diverse associazioni che si occupano di accoglienza. “Africanità. Cittadino del mondo” racconta soprattutto della sua identità senegalese. A questo suo lavoro editoriale è stato coadiuvato da Paola Andrisani, antropologa, impegnata nella difesa dei diritti dei migranti.

 

“Lotta di classe al terzo piano” (Rizzoli editore), di Errico Buonanno

Gennaio ’15

MATERA –  Karl Marx, l’autore de “Il capitale”, caposaldo ideologico per gran parte delle rivoluzioni comuniste in tutto il mondo, pur essendo nato in Germania, ha vissuto per gran parte della sua vita in Inghilterra.

E’ infatti qui, a Londra, che abitava in un appartamento il cui affitto era pagato dall’amico Engels, il quale cercava di dare le basi ideologiche alla lotta degli operai inglesi del dopo rivoluzione industriale .

“Immaginatevi cosa poteva essere a quei tempi un quartiere popolare come Soho”, ha spiegato Errico Buonanno, autore di “Lotta di classe al terzo piano”, edito da Rizzoli.

Engels, dunque, pagava l’affitto all’amico Marx e questi per circa vent’anni, per ripagare in qualche modo, dovette scrivere per Engels il libro del secolo: “Il capitale” (la “bibbia” del comunismo), quello che già nelle intenzioni di Engels doveva essere il testo fondamentale per la coscienza sociale degli operai del dopo rivoluzione industriale.

Il libro di Buonanno è una biografia romanzata di Marx. ”Marx era appassionato di letteratura, – ha continuato l’autore durante la presentazione del suo libro (a cura dell’associazione Energheia) – egli infatti voleva fare lo scrittore, il poeta;  però i suoi testi letterari (poesie giovanili, un romanzo pubblicato qualche anno fa: “Lo scorpione felice”) non sono stati mai giudicati neanche lontanamente paragonabili a ai suoi testi di filosofia.”

Insomma, secondo la tesi di Buonanno, Marx fu un filosofo “per forza”: nel senso che non seguì (per mancanza di talento) fino in fondo la sua passione. Quella stessa sua passione per la letteratura, la poesia, che in realtà si intravede – ma solo in controluce – nelle sue tesi filosofiche. “Era però un genio in ciò che non gli piaceva: la filosofia politica, l’economia.” – ha concluso l’autore.

Nel libro si parla proprio del rimandare di anno in anno la consegna de “Il capitale” ad Engels: in alcune lettere si legge di un “blocco” di Marx dovuto al fatto che, secondo il filosofo, all’opera mancava la giusta connotazione “artistica”. Il testo originale inviato ad Engels, infatti, era un “guazzabuglio” (così l’autore del libro) di citazioni letterarie, da Shackespeare ad Omero; certo non quello che Engels si aspettava per “sobillare” gli operai suoi contemporanei ed anche (ma questo ne Engels ne Marx potevano saperlo) quelli di oltre un secolo dopo.

Egli non voleva essere il “profeta” del comunismo (così come invece Engels gli aveva prospettato) e di conseguenza (quando il suo testo cominciò a circolare tra gli ambienti operai e la lotta di classe assunta come principio marxista) egli stesso affermò di non sentirsi un “marxista”.

L’autore del libro, infine, ha affermato che “clamorosamente” si sta lavorando a manoscritti del filosofo del comunismo e che pubblicazioni inedite potrebbero uscire nei prossimi anni.

 

Due libri sulla storia materana del novecento

Dicembre ’14

MATERA – “Storia di un idealista. Il sovversivo.”(di Domenico Sciandivasci, edito dalla casa editrice Giuseppe Laterza) racconta le gesta di Francesco e delle lotte contadine che portarono all’occupazione delle terre incolte nel secondo dopoguerra.

“Matera. XXI settembre ’43.” (disegni di Pino Oliva e ricostruzione storica di Francesco Ambrico per Lavieri edizioni) è un racconto a fumetti sulla “rivolta” materana del 21 settembre 1943.

Due libri, presentati a Matera, sulla storia materana del secolo scorso che dimostrano una particolare caratteristica lucana: quella della ribellione (contrappunto di un’altra particolare caratteristica lucana: la rassegnazione).

 

“La ferocia” di Nicola Lagioia

Novembre ’14

BARI – L’ultimo libro di Nicola Lagioia è “La ferocia”, romanzo edito da Einaudi. L’autore, nonché direttore editoriale della collana “Nichel” per Minimumfax  e commentatore della rassegna stampa per Radio tre, ha scritto il romanzo a distanza di otto anni dal precedente.

Il libro narra di una Bari “noir”, tanto che l’autore ha spiegato (in una delle tappe di presentazione del libro tra Puglia e Basilicata) che, mentre scriveva il libro, aveva in mente sempre ambientazioni notturne.

E’ in quest’atmosfera, infatti, che si muovono i due personaggi: due fratelli della provincia pugliese “bene”. Un libro con forti connotazioni psicologiche ed esistenziali, tanto che l’autore si è cimentato con il tema del “distacco” (la sorella del personaggio maschile in realtà muore quasi all’inizio della storia ed il personaggio maschile è come agito dalla figura di questa sorella).

Piuttosto riconoscibili gli elementi autobiografici: dall’ambientazione nella città pugliese dove Lagioia è nato ed ha studiato, alle stesse estrazioni sociali dei personaggi del libro.

Lagioia è uno di quegli autori che, a titolo, può inserirsi in quella sorta di filone pugliese di una letteratura delle radici (filone in cui si inseriscono anche Francesco Dezìo, oppure Alessandro Piva o Edoardo Winspeare).

Tale “humus” è stato spiegato bene dall’autore:” negli anni ’90, ai tempi dell’Università barese, eravamo soliti passare le nostre serate in un circolo ARCI a discutere di cinema e letteratura, uno dei sodali era Andrea Piva (fratello di Alessandro)”.

Sulle sorti dell’editoria (in riferimento anche al fenomeno dell’e book) e sulla necessità della letteratura, Lagioia ha detto che “la letteratura è legata all’istinto primordiale dell’uomo di comunicare (sin dai tempi più remoti) e non morirà mai (o almeno non fino a quando esisterà l’uomo), l’editoria è un fenomeno contingente ed è al servizio della letteratura”.

 

“On the road again” di Giorgio Olmoti (Round midnight edizioni)

Settembre ’14

MATERA – Torino, Salerno, Udine, Matera, Siena, Attimis, Venezia, Perugia sono le coordinate geoesistenziali di Giorgio Olmoti. Una scrittura familiare e genuina è lo stile del suo primo, vero lavoro di narrativa, “On the road again”: un viaggio in motorino tra le strade ed i boschi tra Udine e Venezia. Nel libro (più esattamente dalla presentazione effettuata dallo stesso autore presso una delle vie più antiche della città di Matera) è possibile rintracciare l’andamento lento di un Ciao della Piaggio sui sentieri nel nord est dell’Italia, lo stupore di fronte a quella natura vicino casa (a quei percorsi di cui si rimanda sempre la visita), l’odore delle mangiate nei boschi.

“Io sono uno storico e come tale ho pubblicato con l’editore Bruno Mondadori – ha raccontato quasi ad introdurre una serata che è stata anche ritrovo di vecchi amici – questo è il mio primo lavoro di narrativa ed a pubblicarlo ci ha pensato una piccola casa editrice.”

 

“La guerra dentro” di Francesca Borro (Bompiani)

Luglio ’14

BARI – Pugliese, ha poco più di trent’anni. Francesca Borro è esperta di relazioni internazionali. Giornalista “free lance”, ha coperto diverse notizie da zone di conflitto. Ma è della Siria che parla in un libro uscito per Bompiani a maggio scorso. In particolare della “battaglia di Aleppo” che nell’agosto 2013 ha riproposto drammaticamente al mondo l’uso delle armi chimiche e che ha portato decine di reporter in Siria in attesa dell’intervento militare americano.

Francesca Borro stigmatizza alcuni dei comportamenti dei mass media nel raccontare i fatti bellici. Il suo è il reportage di un conflitto cominciato nel 2011 e purtroppo ancora in corso, che finora ha lasciato dietro di se più di cento mila vittime ed oltre duecento mila tra sfollati e rifugiati. Secondo le Nazioni Unite la peggiore crisi umanitaria dalla II guerra mondiale.

 

“Tutta la vita in un giorno. Viaggio tra la gente che sopravvive mentre nessuno se ne accorge.” di Francesca Barra (edizioni Controtempo).

Giugno ’14

MILANO – In copertina un uomo incappucciato. Sembra che sia nel sottopassaggio di una qualche metropolitana. Milano, una giornalista televisiva e radiofonica sta preparando un servizio sulla condizione dei clochard milanesi. Quel servizio non andrà mai in onda, ma il materiale raccolto in quei 15-30 giorni trascorsi fianco a fianco con alcuni di quei clochard, Francesca Barra lo utilizzerà per scrivere “Tutta la vita in un giorno” (edizioni Controtempo).

E’ ambientata a Milano, tra la stazione centrale ed altri luoghi di “aggregazione” per senzatetto, la storia dei due clochard protagonisti del romanzo

Tra le pagine del libro quasi si sente un acre odore di piscio e di sudore.  L’autrice racconta di quel  pudore/vergogna provato nelle azioni naturali come il mangiare o nel parlare di cose, altrettanto naturali, come il sesso; racconta la dignità di alcuni di quei clochard, di alcuni passanti che tirano bottiglie vuote contro di lei e dei suoi amici “per caso”.

 

Francesco Dezìo: “Qualcuno è uscito vivo dagli anni ottanta” (Stilo editrice)

Maggio ’14

BARI – E’ stato un caso letterario, una decina di anni fa, ” Nicola Rubino è entrato in fabbrica” (pubblicato con Feltrinelli). Francesco Dezìo è un autore (di Altamura, provincia di Bari) che, all’esordio, insieme ad altri scrittori, come Nicola La Gioia, fece parlare (o almeno così veniva presentato dai mass media) di un vero e proprio rinascimento letterario pugliese. Dezìo dice di avere come suoi riferimenti italiani scrittori come Aldo Nove o Paolo Nori, autori che raccontano storie della “provincia” italiana con personaggi che spesso sono dei “loosers”.

“Qualcuno è uscito vivo dagli anni ’80. Storie di provincia e di altri mali” è una raccolta che ha come “fil rouge” la musica (in particolare quella punk dei ’70 e degli ’80). I racconti sono ambientati nel paese di Dezìo, di cui si raccontano “la precarietà affettiva e professionale, l’impulso consumistico e l’inestinguibile fame d’amore che ci consuma”.

 

Giuseppe Catozzella: “Non dirmi che hai paura” (Feltrinelli)

Maggio ’14

MILANO – In Kenia per motivi di lavoro, Catozzella si imbatte nella storia di Samìa (atleta somala che sorprese alle Olimpiadi di Pechino perché unica velocista africana nella finale dei 200 m. piani). La sua impresa però non la solleverà dalla condizione di instabilità in cui versa la maggior parte della popolazione somala e come tanti altri suoi connazionali sarà costretta a fuggire dal suo paese. La ragazza purtroppo perderà la vita durante una delle “traversate della speranza” per raggiungere l’Europa. Catozzella raggiunge, quindi, la sorella dell’atleta nei paesi scandinavi e da quella chiacchierata, non scevra di emozioni intense, nascerà l’idea del libro, finalista al premio Strega 2014, “per ridare dignità a questa storia e forse anche per zittire un personale senso di colpa quale abitante della parte fortunata del mondo”.

Giuseppe Catozzella è lucano di nascita. Trasferitosi ben presto a Milano con la famiglia, studia filosofia per poi pubblicare versi in antologie e riviste (il suo primo libro è una raccolta poetica), quindi intraprendere la professione di giornalista (ha collaborato con il programma tv “Le iene” e tiene un blog di “Il fatto quotidiano”). “Non dirmi che hai paura” (recensito, tra gli altri, da Roberto Saviano) è la sua quinta pubblicazione di narrativa.

 

“Lo scettro del re” di Rosanna Filomena

Aprile 2014

MATERA – La festa della donna è stata l’occasione per discutere di “violenza di genere” con la presentazione de “Lo scettro del re”, edito da Edigrafema e scritto da Rosanna Filomena.

Metafora della condizione della donna soggetta psicologicamente all’uomo, il titolo del libro ha una sua “genesi”, della quale abbiamo chiesto all’autrice.

“E’ una provocazione – ci ha risposto nell’androne della Casa Cava (contenitore per eventi culturali) – , in riferimento ad un presunto potere dell’uomo sulla donna. Ciò che però viene smentito da uno scritto (in prefazione) di don Marcello Cozzi (ndr: un sacerdote noto per alcune “battaglie” con l’associazione Libera) sulla “signorìa” della donna ed infine ulteriormente smentito da uno scritto (in postfazione) di Carlo Fanelli (docente di drammaturgia), “Il re è nudo”. Autrice teatrale, la Filomena è alla sua seconda pubblicazione.

 

“Ho amato Simon de Beauvoir” di Anna Maria Riviello

Aprile ’14

MATERA – Anna Maria Riviello ha scritto un libro, “Ho amato Simon de Beauvoir” (edito da Calice Editore), “a metà strada tra il saggio ed il racconto” (come spiegato da Tina Santochirico, invitata a presentare il libro presso il Palazzo Lanfranchi di Matera, in occasione della “festa della donna”), dove trovano spazio istanze sia della sua vita privata (“questo libro nasce dalla domanda della mia nipotina circa l’esistenza di Dio” – ha confessato la stessa autrice) che della propria biografia pubblica.

Cresciuta politicamente nel PCI (è stata consigliere regionale sino al 1990), la Riviello ha preso parte a tutte le più importanti “battaglie” femministe degli anni ’70; da ultimo, inoltre, è stata una delle promotrici della giornata di mobilitazione “Se non ora, quando?”. Durante il suo “periodo” materano, inoltre, ha costituito (insieme ad esponenti del suo stesso partito, come Livia Turco) la Carta delle Donne ed il LUD (la Libera Università delle Donne).

Simon De Beauvoir è stata la compagna (mai sposata) del filosofo esistenzialista Jean Paul Sartre, ma soprattutto icona dell’emancipazione femminile ed ella stessa filosofa. La Riviello ha conosciuto personalmente la scrittrice francese.

Del libro della Riviello ne hanno discusso (oltre all’autrice): Tina Santochirico (esponente del Partito Democratico), Lucia Serino (direttore responsabile de “Il Quotidiano di Basilicata”), Adriana Salvia (presidente della LUD) e Marta Ragozzino (soprintendente ai beni culturali della regione).

 

La “Marina Bellezza” di Silvia Avallone

Marzo ‘14

MATERA – Con il suo primo romanzo, “Acciaio”, ha vinto un Campiello. Originaria di Biella (ma vive da una decina d’anni a Bologna), Silvia Avallone, autrice trentenne che a dispetto dell’età è già scrittrice di punta della casa editrice Rizzoli, ha appena pubblicato il suo secondo libro, “Marina Bellezza”. Il titolo si riferisce alla protagonista, una ragazza della provincia borghese dell’estremo nord dell’Italia (Biella, appunto) dove l’autrice ha ambientato la storia. La provincia italiana, insomma, come rappresentazione di un punto di vista “privilegiato” per raccontare questi tempi “di crisi” (economica e di sistema). La passione di Marina è la musica e per questa, insieme al sentimento che la lega ad Andrea (giovane precario che come un atto di eroismo, rispetto ai tempi di cui sopra, si “inventa” un’attività d’impresa), è disposta a sfidare la mentalità del suo paese e la crisi economica che sembra condannare le nuove generazioni ad un futuro senza prospettive. Un personaggio, quello di Marina, che utilizza la dote naturale della bellezza fuori dagli schemi in cui pare essere stata relegata dai canoni comuni della società dell’immagine.

“A Termoli (in Abruzzo, ndr) ho conosciuto un ragazzo che, proprio come Andrea (il protagonista maschile del romanzo) – ha detto la scrittrice in una delle tappe meridionali della presentazione del suo romanzo – si è “attrezzato” contro questi tempi di “crisi” mettendosi a costruire tamburi.”

La scrittura della Avallone, dunque, oltre ad essere un’efficace scandaglio dell’animo umano (nel caso di specie attraverso i personaggi di questo suo secondo romanzo) è anche strumento d’indagine sociale rispetto ai giorni nostri. Dal primo punto di vista, infatti, come spiegato dalla stessa Avallone, “la Marina Bellezza è una ragazza poco colta che, di fronte ai monumenti dell’antica Roma, ha come uno stupore innocente, non turbato dalla conoscenza della storia o dell’arte della città”, o ancora, circa la rappresentazione dei rapporti familiari (in particolare quelli tra Andrea ed il fratello o della stessa Marina con i genitori), la scrittrice è consapevole (ricca della sua conoscenza soprattutto della letteratura greca) che questi ultimi sono “il luogo dove nascono i maggiori conflitti”. Dal secondo dei due punti di vista, invece, la scrittrice giudica positivi questi tempi di “fermento barbaro”.

 

Irrispettabili. Il consenso sociale alle mafie.

Gennaio  ‘14

MATERA – E’ stato presentato a Matera, presso la sala consiliare del palazzo della Provincia, un volume edito da Rubbettino e scritto a due mani dall’ex sottosegretario al Ministero dell’Interno, Alfredo Mantovano e dal magistrato Domenico Airoma.

Presente all’incontro, il magistrato e parlamentare della Lega ha ricordato quando nelle veci di viceministro prese parte all’inaugurazione del Parco dei Templari, un immobile ad Altamura (provincia di Bari) sequestrato ad un pregiudicato locale, morto ammazzato qualche mese prima in un agguato.

Nel libro “Irrispettabili. Il consenso sociale alle mafie”, Mantovano ed il suo collega si soffermano infatti soprattutto sulla misura della “confisca dei beni mafiosi”. Tre, in particolare, le questioni affrontate: l’agenzia per i beni confiscati, il fondo unico giustizia (FUG) costituito appunto anche da tali beni ed i problemi burocratici legati alla gestione dei beni, nonchè all’utilizzo delle risorse economiche in cui si sostanziano tali beni.

 

Don Marco Bisceglia

Gennaio ’14

MATERA – Ne è stata ricordata la figura in un incontro presso la Libreria dell’Arco a Matera per la presentazione del volume di Rocco Pezzano, “Troppo amore ti ucciderà. Le tre vite di don Marco Bisceglia”, edito da Edigraféma.

Un uomo prima che un sacerdote. Che ha conosciuto la passione civile e umana, con tutti i suoi  risvolti (la stigmatizzazione, finanche la sospensione dalle sue funzioni sacerdotali, da parte delle alte sfere del clero; la malattia).

Un gesuita, un sacerdote vicino alla gente. Nel paese dove ha esercitato le sue funzioni di parroco (Lavello) ancora se lo ricordano. Ricordano le barricate, le mani callose e l’odore del sudore dei contadini. Se lo ricordano a Matera dove per un periodo (quello della sospensione dalle funzioni sacerdotali) ha vissuto nel rione degli alternativi degli anni ’70/80 nei Sassi. Se lo ricorda Nichi Vendola che nel periodo romano (anni ‘90) condivideva altre ad un “modesto” appartamento anche le passioni politiche e civili. Se lo ricordano, infine, negli ambienti dell’Arcigay (che contribuì a fondare).

 

“Chiara d’Assisi. Elogio della disobbedienza.”

Dicembre ’13

MATERA – Presentato a Matera alla presenza di un numeroso pubblico, il volume “Chiara d’Assisi. Elogio della disobbedienza” (edito da Rizzoli), di Dacia Maraini, scandaglia la vita della santa umbra contemporanea di san Francesco. “Chiara non proveniva da una ricca famiglia come san Francesco – ha detto la scrittrice in un’intervista radiofonica – ma ciò nonostante come il santo aveva fatto il voto di povertà.” Il libro della Maraini è ricco di particolari biografici della santa che aveva anche fatto voto di obbedienza ma che era molto critica nei confronti della struttura gerarchica della chiesa. “Chiara viveva di elemosina – ha detto anche la scrittrice – faceva i lavori più umili proprio per “imparare” l’umiltà”. Alla fine della sua vita, in convento, era la prima ad alzarsi la mattina e l’ultima ad andare a dormire”

 

Virgilio secondo la casa editrice Einaudi

Novembre 2013

BARI – L’Eneide di Publio Virgilio Marone per i tipi di Einaudi è destinato ad un pubblico non solo accademico. Formato e grafica del volume ne sono un segno. Così come la presentazione alla libreria “Laterza” di Bari, per un ciclo di incontri che si concluderà a maggio. Ne hanno discusso, insieme all’autore della traduzione, il latinista Alessandro Fo (nipote di Dario), il professor Francesco Tateo (già preside della facoltà barese di Lettere e Filosofia) e l’editore (nonché presidente di Confindustria del mezzogiorno) Alessandro Laterza.

“La necessità del “classico” è testimoniata da diverse nostre pubblicazioni di autori latini e greci – ha detto Laterza in riferimento all’importanza dei classici nella cultura odierna – anche se – ha continuato facendo eco a considerazioni di Tateo – bisogna essere consapevoli della delicatezza dell’attività di traduzione, di qualsiasi traduzione”. Il riferimento è al necessario “tradimento” dell’opera originale da parte dell’interprete, “tanto che – come ha sottolineato Tateo – in realtà ogni operazione di interpretazione è artificio; lo è anche  l’interpretazione artistica, riproducendo “soltanto” una realtà che di per sé è autentica”.

Già partendo da questo presupposto può immaginarsi l’enormità della questione che i relatori hanno posto a se stessi ed all’auditorio; enormità di cui è stato consapevole (per sua stessa ammissione) l’autore dell’opera di traduzione; enormità che, spinta all’estremo, mette in discussione tutta l’attività di divulgazione culturale (in particolare) e del sapere (in generale). “Ingens  d’altronde – ha sottolineato Fo – è uno dei termini (in latino) che più spesso (una trentina) ricorre nell’Eneide”.

Il traduttore, insomma, ha dovuto affrontare problemi inerenti sia la semantica che la filologia. “Una formula ricorrente in Virgilio è stata da me tradotta con “dette i detti”, – ha detto a proposito Fo – espressione che può apparire poco elegante ma che è stata l’unica che ho trovato per rendere quella formula secondo l’impostazione poetica del testo.”

”Anche Pasolini – ha detto in conclusione Tateo – si era cimentato con la traduzione dell’Eneide, ma con risultati che si discostavano assai dall’impostazione classica dell’interpretazione del testo virgiliano, tanto che lo stesso Pasolini dopo i primi 300-400 versi lasciò perdere”.

L’Eneide, tradotta da Fo, è disponibile anche in files audio sul sito Einaudi.it.

 

Sulle tracce di Orazio con le foto di Sante Cutecchia

Novembre ‘13

MATERA – Architetto con la passione della fotografia, Sante Cutecchia è partito con la sua vespa alla scoperta della storia (una ricerca da archeologo) dei luoghi vicino casa. E che luoghi: la murgia barese con i suoi muretti a secco, i filari di ulivi, la sconfinata campagna. “Il tratturo e la via Appia antica” è il libro fotografico (per i tipi di Mario Adda editore) presentato alla bottega del commercio equo e solidale di Matera lo scorso ottobre.

“Da queste parti, verso Castellaneta (provincia di Taranto), il tratturo era largo un centinaio di metri  – l’autore del libro, altamurano, racconta ad una platea raccolta nel buio di un’improvvisata sala lettura al suono originale di uno stumento a fiato del tracciato originale della via Appia –e ci passavano con i carri per ogni genere di trasporto, data l’importanza di questa strada di collegamento tra il centro dell’impero (Roma) e la sua periferia italica”.

In realtà il libro è qualcosa di più della storia di una via (pur importante come l’Appia): è soprattutto il racconto (per immagini, ma anche ad esempio, per citazioni) del l’umanità autentica dei luoghi (quella dei deportati dall’est Europa durante la guerra, quella dei contadini e dei pastori, le cui tracce sono dappertutto lungo il tratto da Melfi a Castellaneta).

 

Una “grafic novel” di Giuseppe Palumbo edita da Lavieri editore.

Ottobre ’13

MATERA – E’ stata presentata nella suggestiva cornice del Museo d’arte contemporanea di Matera (Musma) una pubblicazione tratta dalla storia di Rocco Scotellaro, il poeta contadino lucano (di Tricarico). “Uno si distrae al bivio. La crudele scalmana di Rocco Scotellaro” è inserita nella collana “Lavieri comics”. L’autore, Giuseppe Palumbo, materano di nascita e bolognese d’adozione è, tra l’altro, uno dei disegnatori di “Diabolik” e fa parte di una straordinaria “scuderia” bolognese di fumettisti, di cui Andrea Pazienza ne era il capostipite.

 

“Cinque storie sull’allegria”: la prima raccolta digitale di “storie brevi”.

Luglio ’13

ROMA – E’ La prima raccolta di racconti in edizione digitale della collana “Storie brevi – narrativa tascabile” proposta dal Gruppo editoriale L’Espresso spa.
“Cinque storie sull’allegria” è il titolo di questo primo ebook, che indaga lo stato d’animo dell’allegria e lo fa in modo colto e divertente, da diversi punti di vista. C’è la spiazzante leggerezza della gattina Kitty in “Il senso di Kitty per il tonno”, di Giulia Besa, ma anche l’irresistibile delirio delle vite disperate di Barbecue di Daniele Sbalchiero. E ancora, La cabala dell’eye-liner di Laura Mercuri, con la sua allegria fresca e sensuale. Infine, uno sguardo profondo, ironico e disincantato sul passare del tempo, con L’agenda di Roberto Moliterni e Il viaggio dei logaritmi di Bruno Zaffoni.

 

Francesco Caringella: “Il colore del vetro”.

Maggio ’13

POTENZA – Magistrato ormai di “lungo corso”, Francesco Caringella è stato commissario di polizia, poi magistrato giudicante nella giurisdizione ordinaria (soprattutto presso il Tribunale di Milano, sezione penale, dove, tra l’altro, ha preso parte ad alcuni procedimenti del filone di “mani pulite”), quindi magistrato amministrativo (prima al Tar e poi al Consiglio di Stato) ed ha ricoperto incarichi in commissioni legislative del Governo. Ma Caringella deve la sua “fama” soprattutto per i corsi di preparazione agli esami di Stato sia per aspiranti avvocati che per aspiranti magistrati. Come “autore” si è dedicato esclusivamente a scritti “tecnici” (centinaia tra monografie e articoli, manuali e codici) fino a “Il colore del vetro”, romanzo (a sfondo “psicologico”) edito da Robin Edizioni (nella collana “La biblioteca del mistero”) che narra il “conflitto” di un giudice milanese (messo di fronte, tra l’altro, ad un personaggio “alter ego”, il cui ispiratore è in realtà un pubblico ministero lucano, Pier Luigi Cameriero) rispetto alla verità, quella processuale (in particolare di una “rapina a mano armata”) che egli vede poi frustrata nella realtà.

“Quanto c’è di Carofiglio in questa sua prima esperienza narrativa?” – abbiamo chiesto all’autore (barese e magistrato, come l’altro) durante la presentazione del libro presso il Palazzo Loffredo a Potenza -.

“In realtà i personaggi dei romanzi di Carofiglio – ci ha risposto mentre autografava il suo libro ad un lettore – si muovono spesso in uno sfondo noir; nel mio libro l’indagine è soprattutto di tipo psicologico/ esistenziale, direi intimista”.

 

Il “pathos” della lucanità in una raccolta di Domenico Calbi.

Aprile 2013

MATERA – Appena dato alle stampe l’ultimo lavoro (a cura di Negroamaro editrice) di Domenico Calbi. Si tratta di una raccolta di “brevi” saggi (scritti nell’arco degli ultimi quindici anni) del professore “filosofo” materano che, con questa pubblicazione, fa sette (ha cominciato a pubblicare, come autore, agli inizi degli anni ’90 – ricordiamo, tra gli altri, “Schegge di un disordine didattico”, con Basilicata editrice – ). Il suo punto di vista è quello dello storico e del filosofo, ma l’indagine è antropologica e sociologica.

Presentato  durante un convegno della società filosofica italiana a fine marzo (ma in realtà pubblicato in gennaio), il testo analizza la “lucanità” quale concetto che in sé può esprimere una possibile identità (anche se l’autore contesta questa tesi) valida addirittura quale modello politico sociale, stigmatizzandone in particolare alcuni aspetti (una eccessiva “rassegnazione” figlia di un passato di “sottomissione” all’occupante di turno – sia esso greco o romano o borbone o piemontese – , l’eccessivo pragmatismo determinato dalla prevalente attività di silvicoltura ed agricola) pur ripercorrendo alcuni “fatti” (la protesta contro un deposito di scorie nucleari) rappresentativi di un deciso cambio di rotta rispetto a quel passato.

 

Ai frigoriferi milanesi: Paolo Nori legge “Grandi ustionati”.

Marzo 2013

MILANO – Un audio libro registrato dal vivo negli spazi del “contenitore” culturale dei  “frigoriferi milanesi. La sua voce, tra l’altro, è quella “suadente” di una nota trasmissione televisiva. Paolo Nori, scrittore emiliano quarantanovenne, ha aggiunto (pubblicando il relativo romanzo, “Grandi ustionati”, con l’editore “Marcos y Marcos”) alla“saga di Learco Ferrari (personaggio di altri romanzi pubblicati tra il 1999 ed il 2006) un’avventura scritta nel 2001. La scelta della registrazione di un audio libro negli spazi de “i frigoriferi” (e non in una sala di registrazione) ha risposto, secondo l’autore, ad un’esigenza di esperimento dal vivo.

 

“Stupidità” di Gianfranco Marrone (edito da Bompiani)

Febbraio 2013

MILANO – Un saggio scritto da Gianfranco Marroni (professore ordinario di semiotica all’Università di Palermo), edito da Bompiani, “Stupidità”, è stato presentato martedì 22 gennaio alle Librerie Feltrinelli della Galleria di piazza Duomo a Milano. Ne hanno discusso con l’autore, Umberto Eco (scrittore e semiologo) e Marco Belpoliti (scrittore e critico letterario).

L’autore, nei suoi studi, si è soffermato su quella che Eco ha definito come “una condizione che è tale non in se stessa ma solo se e quando essa è posta in una data relazione.” Eco, infatti, citando, tra gli altri, Focault, ha parlato di tre tipi di “stupidità”: quella con cui, in maniera inadeguata, si descrive un comportamento “patologico”, quella di un determinato atteggiamento soggettivo in risposta ad uno “stimolo” (per dirla alla “Forrest Gump”: “stupido è chi lo stupido fa”) e quella del condizionamento ambientale. Quella di cui si è discusso nell’incontro (ed Eco non ha mancato riferimenti all’attuale situazione politica italiana) è piuttosto quella del terzo tipo, ossia quella che “aleggia” nei nostri tempi di conformismo e superficialità, forse la più pericolosa perché permea in maniera spesso inconsapevole la coscienza sociale.

 

Gunter Wallraff, “Notizie dal migliore dei mondi” (L’orma editore)

Gennaio ‘13

ROMA – Alla fiera della piccola e media editoria di Roma, presso lo stand della casa editrice “L’orma”, il tedesco Gunter Wallraff ha “focalizzato”, con la sua presenza, l’attenzione di diversi visitatori. Giornalista di professione, “infiltrato” per “vocazione”, Wallraff ha descritto dall’interno alcune esperienze relative a questioni sociali “scottanti” (vissute in prima persona, appunto come infiltrato) dal ’63 ad oggi; esperienze altrimenti “off limits”. Ha così raccontato della vita degli operai della Thyssen-Krupp, della redazione del giornale scandalistico Bild Zeitung, della condizione degli immigrati turchi in Germania, della vita da senzatetto, delle condizioni di lavoro in un call-center e quelle di un inserviente di un ristorante. I suoi reportages sono ora  raccolti nel libro “Notizie dal migliore dei mondi” edito, appunto, da “L’orma”.

 

“Il mare di lato” di Vito Antonio Loprieno

Dicembre ‘13

MATERA –  Vito Antonio Loprieno racconta la sua terra: la Puglia. E ne racconta le origini, la sua essenza. Con “Il mare di lato”, romanzo dato alle stampe da “Il grillo editore”, l’autore si concentra sulla “risorsa” mar Adriatico del tacco d’Italia, mezzo di sostegno di una “tradizione” di lavoratori del mare, ma anche “veicolo” d’incontro tra paesi e culture diverse, “veicolo” per gli scambi commerciali sin da tempi remoti.

Dello stesso autore è “L’oro di Puglia”.