inchieste – da novembre 2012 a febbraio 2018

La Mediateca provinciale di Matera come paradigma dei disservizi della pubblica amministrazione al limite dei comportamenti penalmente rilevanti

A più riprese DNA (Direzione Nazionale Antimafia) e ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) hanno lanciato l’allarme rispetto ad un pericolo “corruzione” nell’ambito degli eventi  e/o delle iniziative legate a Matera 2019.

Di Giampiero Calia – 8 febbraio 2018

 

MATERA – Nessuno si lamenta, chi dovrebbe controllare non lo fa; ma il servizio agli utenti (servizio a tutti gli effetti pubblico come disciplinato dalla normativa e dal contratto) della Mediateca provinciale di Matera pare essere proprio l’ultima delle attività erogate del gestore che, nel primo appalto (del 2012) ad esso affidato si chiamava Mediante srl, proprio come la società che gestiva il servizio precedentemente e fin dalla sua nascita. Una società solo formalmente la stessa ma che era sostanzialmente di soggetti diversi. La gestione poi è stata rinnovata, tra il 2016 ed il 2017, tramite convenzione tra la Provincia di Matera e l’attuale gestore.

Per la gestione della Mediateca negli anni sono stati bandite gare d’appalto, per le quali non sono mancati contenziosi davanti al giudice amministrativo.

In tema di trasparenza della Pubblica Amministrazione, di pubblico, quanto meno in rete, non risulta alcunché (nè risultati dei bandi dei gare e men che meno alcuna convenzione).

I servizi offerti (tra cui fotocopie,stampe, internet poin;, ma anche convegnistica, servizi audio video, mostre d’arte, ecc) sono spesso erogati in maniera ridotta o non erogati affatto. Spesso (per questioni legate al risparmio da parte del gestore) gli strumenti non funzionano o, ad esempio, il servizio wi fi non è disponibili; diverse volte, addirittura, la struttura risulta chiusa agli utenti (nonostante orari e giorni di apertura prefissati). Il responsabile della struttura si è giustificato a più riprese dicendo che “i costi di gestione sono troppo alti” o che “i macchinari sono di mia proprietà”. In realtà in nessun caso, in materia di servizio pubblico, la gestione economica può essere fatta a discapito degli utenti.

Vi è poi, fatto ancor più grave, la chiusura al pubblico della struttura per “allestire” eventi (in particolare una “master class” lo scorso dicembre o una fiera itinerante a gennaio di quest’anno), o organizzati dal gestore in collaborazione con altre società private: utilizzando cioè la struttura pubblica per scopi privati, comportamento quest’ultimo al limite del peculato

Insomma in questi casi la magistratura pare non indagare; sarà perché rispetto a certi reati (come appunto quelli della Pubblica Amministrazioni o alcuni reati ambientali) le procure locali (quella di Potenza, la cui competenza – per i reati perseguiti dall’ufficio della DDA – coincide con il distretto, e quella di Matera) in diversi casi, quand’anche hanno avviato azione penale, hanno visto i relativi processi concludersi spesso con assoluzioni e/o con archiviazioni (è stato il caso, ad esempio, di un’inchiesta, avviata nel 2005 dall’allora sostituto procuratore della Repubblica di Potenza, Salvatore Colella, che ha portato a processo il sindaco, Michele Porcari, e l’intera giunta comunale di Matera in carica tra il 2003 ed il 2004 e per cui sono stati condannati “solo” due dirigenti; oppure quella per “lottizzazione abusiva” di un centro servizi di quartiere; o ancora quella per cui è andato in prescrizione il reato di cui era accusato l’attuale assessore alle attività produttive della Regione Basilicata, Roberto Cifarelli)?

 

Le procure della Repubblica lucane tra vecchi fantasmi e nuovi impulsi

Di Giampiero Calia – 30 gennaio 2018

 

A quanto pare CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) e Procura Nazionale Antimafia hanno fatto proprie le indicazioni emerse a più riprese soprattutto dalla DNA (Direzione Nazionale Antimafia) che, nell’ultima relazione dell’aprile scorso (relativa all’ultimo semestre del 2016), aveva ribadito la pericolosità di alcuni fenomeni criminali (in particolare estorsioni e attentati) in Basilicata ed il rischio di infiltrazioni e appetiti per quanto riguarda Matera 2019. Tanto che è stato proposto come nuovo Procuratore capo presso il Tribunale di Potenza, Francesco Curcio, già sostituto della Procura Nazionale Antimafia.  Il magistrato dovrebbe andare a prendere il posto lasciato vacante da Luigi Gay, nominato commissario presso il coordinamento regionale antiusura e antiracket di Basilicata.

La DNA, in linea, tra l’altro, poi con la recenti indicazioni (soprattutto “nuovo” Codice antimafia e protocollo d’intesa 13/11/2016 ) normative, ha messo in guardia da possibili fenomeni di corruzione. L’ambito economico/politico/amministrativo, infatti, è quello più interessato dai reati di corruzione e da quelli di associazione di tipo mafioso (tanto che lo stesso legislatore  ha inteso equiparare alcuni reati del primo tipo a quelli del secondo).

Particolare tipologia di reati è quella poi in cui spesso si concretizzano gli interessi sia dei soggetti interessati, a vario titolo, dal fenomeno della corruzione che a quello delle “mafie” (e altre organizzazioni criminali ad esse equiparate): i reati ambientali. Tanto che molte Procure (almeno quelle più attrezzate) hanno appositi uffici e sostituti che perseguono autonomamente questi reati.

La stessa DDA lucana spesso persegue tutte e tre queste tipologie di reati: a parte i reati di associazione mafiosa (nel marzo scorso, ad esempio, sono stati emanati provvedimenti cautelari per circa venti persone in ordine a diverse imputazioni, tra cui l’associazione a delinquere; è di questa estate inoltre l’operazione “Mandamento”, a cui ha collaborato anche la DDA lucana, che ha smantellato il potente clan calabrese dei Morabito), infatti, sono “note” le inchieste ambientali (per tutte quella che riguarda l’ENI e che ha visto indagati, tra gli altri, anche l’amministratore delegato, Claudio De Scalzi) e quelle relative a reati “di corruzione” – nel caso specifico: peculato, falso, ecc. – (è del 2013 infatti il processo di primo grado dell’inchiesta, denominata dai media, “rimborso poli lucana”).

Se dall’alto delle più alte sfere dell’ordinamento giudiziario pare essere lanciato l’allarme e prese misure (quella del nuovo procuratore è però al momento in cui si scrive solo una proposta) soprattutto rispetto a determinate tipologie di reati (ambientali, di corruzione e di associazione mafiosa) però dal “basso” dell’ordinamento (ossia dalle procure locali) tali allarmi (a parte inchieste “eclatanti” come da ultimo, ad esempio, quelle che riguardano l’Eni o quella cd. di “rimborso poli”) non sembrano poi allo stato delle risultanze processuali avere riscontri. Alcune inchieste, ad esempio,che hanno riguardato degli amministratori locali (è il caso, ad esempio, di un processo che si è svolto a carico di diversi componenti della Giunta, tra cui il sindaco allora in carica Michele Porcari, e di alcuni dirigenti del comune di Matera, relativo alla gestione dei PISU 2004, oppure di quello – rimborso poli lucana – che ha visto indagati diversi tra assessori e consiglieri della Regione Basilicata, nonché il presidente della Giunta regionali, Marcello Pittella, ed il presidente del consiglio regionale, Franco Mollica) sono finite (a parte le condanne, nel primo caso, di un dirigente dell’ufficio tecnico e nel secondo – in primo grado – di quattro consiglieri) con archiviazioni e/o assoluzioni.

Rimane infine aperta la questione dell’indipendenza della magistratura da eventuali pressioni politiche (o di altra natura) relativamente alla recente (novembre scorso) nomina del procuratore capo “uscente” della Procura della Repubblica di Potenza, Luigi Gay, a commissario del coordinamento antiusura e antiracket di Basilicata, istituito presso la Presidenza della Giunta Regionale (la stessa, per intenderci, di quel Marcello Pittella indagato in sede penale – e condannato, tra l’altro, dalla Corte dei Conti – dalla stessa Procura, di cui Gay è stato il capo dal febbraio 2014). Questione dell’indipendenza e autonomia della magistratura che, ricordiamo, spesso attiene a mera opportunità (come in questo caso) di rapporti e/o relazioni con politici, amministratori, imprenditori, ecc. Tanto che in Basilicata è ancora “fresca” la memoria di inchieste come “Toghe lucane” (1 e 2) o “Why not?” che hanno riguardato proprio magistrati; ed a finire sotto inchiesta, spesso, sono stati i loro rapporti con politici, professionisti e imprenditori lucani.

 

La mappa delle “nuove” mafie

Di Giampiero Calia – 18 gennaio 2018

 

Gli ultimi “Stati generali per la lotta alla mafia” si sono tenuti a distanza di qualche giorno dalla morte di Totò Riina. Quello che è emerso con la morte del boss corleonese è che “il sistema mafioso di tipo verticistico, così come lo abbiamo conosciuto, non c’è più.”

Attualmente in Sicilia, secondo i nuovi assetti della geografia criminale, vi sono diversi mandamenti, che agiscono ognuno in autonomia rispetto all’altro, dividendosi zone e affari e stando attenti a non invadere l’altrui territorio. Insomma con la scomparsa dell’assetto verticistico, la mafia siciliana oggi, dal punto di vista dell’organizzazione, agisce come le altre associazioni a delinquere di stampo mafioso.

A sentire, poi, in occasione del suo insediamento, il nuovo Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho: “la mafia, come la conosciamo, ha subito e sta subendo duri colpi e come fenomeno tenderà a scomparire.”

Cafiero De Raho conosce bene il fenomeno mafioso essendo stato procuratore a Reggio Calabria a contrastare una delle organizzazioni criminali mafiose maggiormente radicate nel territorio. Anche la ‘ndrangheta calabrese ha subito però ultimamente duri colpi: a farne le spese in particolare il clan Morabito con la cattura in Uruguay, lo scorso settembre, del boss latitante Rocco Morabito (figlio di Giuseppe, il capo del clan in cella dal 2004).

La ‘ndrangheta è l’organizzazione che, oltre ad essere radicata (in quanto a storia e tradizione) nel territorio della Calabria (in particolare i clan “storici” sono quelli della provincia di Reggio Calabria, ma “famiglie” appartenenti o legate alla ‘ndrangheta ve ne sono anche in tutte le altre province calabresi), è quella che forse più di altre, oggi, riesce ad espandersi oltre i confini regionali:  diverse inchieste hanno infatti dimostrato la presenza criminale delle ‘ndrine in tutto il nord Italia (in particolare nella Brianza e a Milano) e finanche oltre confine (in Germania, in particolare, dove una recente inchiesta, condotta dalla DDA di Catanzaro, ha rilevato la presenza di una rete criminal/mafiosa dedita a gestire diversi affari illeciti: più di cento le persone coinvolte, tra cui gli ultimi due sindaci di Cirò Marina, accusati di essere affiliati al clan Farao – Marincola) e per quanto riguarda il business della cocaina è l’organizzazione che gestisce più di altre il traffico internazionale (giungendo la stessa direttamente dalla Colombia attraverso il porto di Gioia Tauro).

Alcuni indicatori (come, ad esempio, la gestione di affari economici nel nord Italia o il traffico internazionale di cocaina) rappresentano la capacità di espansione delle diverse organizzazioni criminali fuori dal loro territorio. Attualmente la ‘ndrangheta pare essere l’organizzazione che in base a questi parametri ha tale maggiore capacità.

Business (affari economici) nel nord Italia Traffico internazionale di cocaina Traffico internazionale hascisc e marijuana Presenza nella capitale (Roma) Influenza negli Stati Uniti d’America
‘Ndrangheta: Dagli anni ’90 ad oggi

 

Mafia siciliana: Soprattutto negli anni ’70: Pippo Calò era il referente per in nord Italia

‘Ndrangheta: Maggior importatore di cocaina dal sud America

 

Mafia siciliana: Fino agli anni ’90 era il maggior importatore di cocaina dal sud America

Camorra: Maggior importatore di hascisc e marijuana Camorra: clan legati soprattutto ai “casalesi” a Ostia

 

Mafia siciliana: Forte influenza dagli anni ’50 ai ’90 negli ambienti della politica romana

 

Presenza a Ostia e litorale laziale

 

Contatti negli anni ‘70/’80 con la “banda della Magliana”

Mafia siciliana: Cosa nostra americana (oggi fortemente ridimensionata) nasce all’inizio del ‘900 da famiglie mafiose siciliana

In tabella la capacità di espansione di mafia, camorra e ‘ndrangheta oltre i confini regionali.

E’ dello scorso settembre, ad esempio, l’operazione di polizia che ha portato all’arresto di più di venti persone in Lombardia accusate a vario titolo (traffico di droga, estorsioni e corruzione) di associazione mafiosa: inchiesta che, se mai ce ne fosse stato bisogno, ha evidenziato l’operatività criminale della ‘ndrangheta in Lombardia (nel caso particolare nella zona di Monza e Brianza) con la collusione e la complicità di istituzioni (nel caso di specie il sindaco del comune di Seregno) e imprenditori.

Sul versante pugliese c’è poi la cd “quarta mafia”, ossia quell’organizzazione criminale denominata “sacra corona unita”, oggi più che mai operante in particolare nel foggiano, dove lo scorso agosto è tornata alla ribalta nazionale con un’agguato in stile mafioso, nelle campagne di san Marco in Lamis, che ha fatto quattro vittime (due delle quali uccise solo per aver visto in faccia i sicari). Solo nel territorio foggiano negli ultimi trent’anni ci sono stati circa trecento omicidi (in maggior parte regolamenti di conti tra clan rivali).

Sempre in Puglia, solo un mese prima, la procura di Taranto aveva proceduto nei confronti di ventisette persone accusate di associazione di tipo mafioso e voto scambio (coinvolti anche i sindaci di due paesi, Avetrana ed Erchie, il vicesindaco di un altro paese ed un consigliere comunale).

Sul fronte del contrasto alla “mafia”, nell’ultimo anno diverse iniziative istituzionali hanno segnato un adeguamento della normativa al fenomeno: nel settembre scorso è stato approvato il codice antimafia, un corpus normativo che ha accolto le principali modifiche (ad esempio l’introduzione dell’art. 416 ter per il voto di scambio) intervenute negli ultimi anni in materia e che, tra le principali novità, equipara i reati di mafia a quelli di corruzione (anche in seguito alle vicende processuali di “mafia capitale”). A novembre è stato inoltre siglato un accordo tra ANAC (Autorità Nazionale AntiCorruzione) e Procura Nazionale Antimafia al fine di potenziare il contrasto alle organizzazioni mafiose nel settore degli appalti pubblici.

Le origini storiche della mafia siciliana così come oggi la conosciamo si fanno risalire[1] al periodo borbonico (metà ottocento) quando cioè i governanti dell’epoca si affidavano ai criminali per contrastare altri criminali.

 

La rotta mediterranea dell’immigrazione e la questione libica.

Dopo gli accordi di agosto tra Governo italiano e Libia

Di Giampiero Calia – 10 novembre 2017

 

L’arresto, avvenuto in Sicilia lo scorso 18 ottobre, di sei trafficanti di petrolio (tra cui l’amministratore delegato di una società maltese, un ex spacciatore libico rilasciato dopo la caduta di Gheddafi ed un imprenditore catanese vicino al clan Santapaola) avvalora l’allarme lanciato a maggio (in particolare dal procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro) su “appetiti” da parte di “soggetti” (clan mafiosi e ONG) che, a diverso titolo, avrebbero avuto interessi (illeciti) al traffico dei migranti sulla rotta libica.

Il traffico di petrolio sarebbe uno di questi interessi. Secondo l’inchiesta su citata, il petrolio sarebbe stato rubato in Libia da miliziani dell’ISIS e poi rivenduto a raffinerie italiane. Il traffico illecito sarebbe avvenuto tramite “navi fantasma”. Un affare di circa 80 milioni di barili per quasi quaranta milioni di euro. L’ operazione condotta dalle forze dell’ordine siciliane segue un’indagine del pm  Zuccaro.

La giornalista maltese, Daphne Caruana Galizia, morta in un attentato con autobomba (tecnica tipica dell’associazione mafiosa siciliana) lo scorso 17 ottobre, aveva denunciato, prima di essere uccisa, gli interessi illeciti connessi al traffico dei migranti. Lei stessa nel suo blog, ed in seguito alle rivelazioni dei c.d. “files maltesi” (uno stralcio dell’inchiesta giornalistica internazionale dei “Panama papers”), aveva indicato due di tali interessi nel traffico di petrolio e nell’ospitalità offerta (come feriti di guerra) a miliziani libici da alcuni Paesi europei (tra cui l’Italia). Quest’ultima legata dunque alla possibilità di ingresso di terroristi dell’ISIS o foreign figthers. Gli investigatori, tra le piste seguite, avvalorano quella libica (nell’attentato sarebbe stato usato dell’esplosivo militare).

Dunque possibilità di infiltrazioni di terroristi lungo la rotta libica (anche “foreign fighters” di ritorno dall’ISIS in ritirata dopo la caduta di Mosul prima e di Racca dopo) e di interessi di ONG tra le motivazioni che hanno portato il Governo italiano (in particolare il ministro dell’interno Marco Minniti) a voler stipulare accordi direttamente con la Libia al fine di fermare i flussi migratori verso le coste italiane.

Lo scorso agosto infatti quella che era diventata la più importante rotta (per numero di sbarchi) per l’immigrazione dalle coste libiche è stata “chiusa”. Ufficialmente l’accordo è stato siglato con il presidente, sostenuto dalla comunità internazionale, Al Serraj, ma determinante è stato anche il coinvolgimento del generale Haftar e dei capi delle diverse “tribù” libiche. L’influenza di Haftar, sostenuto dalle autorità egiziane, si estende infatti su tutta la Cirenaica (una vasta zona ad est di Tripoli) ed è per tale motivo (per assicurarsi il suo sostegno) che proprio in agosto l’Italia ha deciso il rientro dell’ambasciatore a Il Cairo dopo il ritiro (per le torture e l’uccisione di Giulio Regeni) come una sorta di scambio per la buona riuscita dell’operazione. Lo stesso Haftar aveva esplicitamente minacciato le navi italiane che avessero incrociato nelle acque territoriali libiche.

L’intesa (ed un intenso lavoro diplomatico), inoltre, si è resa necessaria soprattutto per la mancata modifica degli “Accordi di Dublino” nella parte in cui questi prevedono che i migranti debbano essere identificati nel primo Paese europeo di arrivo, lasciando a quest’ultimo la gestione della prima accoglienza. In teoria, con un numero di sbarchi contenuto e con la ripartizione per quote dei migranti nei Paesi membri dell’UE, gli accordi così come formulati nel 1990 potevano avere una loro ragion d’essere, ma con l’aumento degli sbarchi registrati soprattutto dopo il 2012 con picchi che hanno raggiunto (nel 2016) la quota di circa 200.000 in un anno – sulle sole coste italiane – e con il rifiuto dei c.d. Paesi dell’accordo di Visegrad alla ripartizione, l’Italia, vedendosi isolata, si è trovata costretta agli accordi con la Libia per la chiusura della rotta. Rotta gestita da trafficanti, per cui il governo libico si è impegnato a contrastarli sulle loro coste.

Una “questione”, quella libica, aperta dalla fine del regime di Gheddafi ed aggravatasi, dopo le rivolte della “primavera” araba del 2012. La Libia è la tappa finale del viaggio africano di milioni di persone, lo è sempre stato anche prima del 2011. Il Paese in cui maggiormente si sono concentrati gli interessi del business del traffico di esseri umani, in una rete che coinvolge trafficanti dei Paesi d’origine, passeurs, carcerieri e scafisti di un sistema di corruzione che coinvolge anche, e spesso, strutture e uomini dello Stato.

L’allarme era stato lanciato lo scorso mese di maggio dal procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, riguardo a presunti contatti tra scafisti ed ONG, in modo tale che questi ultimi potessero soccorrere i migranti anche in mancanza della condizione di “imminente pericolo di vita”, necessaria affinchè possano attivarsi i soccorsi. L’Inchiesta si è poi allargata portando al sequestro (da parte della procura di Trapani), lo scorso 2 agosto, della nave “Iuventa” dell’ONG tedesca Jugend Retter e alla stesura (da parte del Viminale) di un vero e proprio “Codice di comportamento” per le Organizzazioni non Governative autorizzate ad operano nel mediterraneo ed a cui non hanno aderito Medici Senza Frontiere e Sea Watch.

La comunità internazionale si è espressa in merito ed “a posteriori”, durante il vertice di Parigi del 27 e 28 agosto scorso, appoggiando l’accordo.

In un dossier dello scorso 07 settembre l’organizzazione non governativa di “Medici senza frontiere” ha espresso i motivi del proprio rifiuto alla firma del Codice (e quindi della propria esclusione dall’attività di soccorso nella zona di mar mediterraneo interessata) consistenti nelle gravi condizioni di detenzione nei centri libici.

L’arrivo, poi, sulle coste dell’agrigentino o del trapanese (ma anche in Calabria ed in Campania) di barche e pescherecci (con i migranti sbarcati spesso tra i bagnanti estivi) provenienti dalla Tunisia, dal’Algeria e dalla stessa Libia (nel’ultimo di tali sbarchi sono state 26 le donne decedute durante la traversata) ha riproposto la questione (anche se questo fenomeno non è paragonabile al flusso della rotta libica dei mesi e degli anni precedenti, trattandosi dunque di flussi “fisiologici”: tremila sbarchi ad agosto e mille a settembre a fronte dei circa quarantamila sbarcati nello stesso periodo del 2016) e fatto dubitare della “reale” possibilità di chiusura della rotta libica. Questione che, come ricorda Carlotta Sami (portavoce per il Sud Europa dell’UNHCR), “può essere risolta solo con l’apertura di corridoi umanitari; cosa che ad oggi non risulta una via concretamente praticabile”.

Che la rotta libica sia foriera dei traffici più diversi è confermato anche da un recente sequestro di pillole di oppio (provenienti dall’oriente e diretti proprio in Libia) utilizzate dai miliziani dell’ISIS. Ma anche dall’arresto (su mandato internazionale) di Giulio Lolli, “bancarottiere” italiano riparato in Libia nel 2011 e che lì ha finito per continuare il suo business relativo a imbarcazioni di lusso ed a diventare anche consulente “anti-scafisti” per conto del Governo.

Nonostante la chiusura della rotta libica siglata con gli accordi Italia/libia dello scorso agosto, lo scorso 5 novembre sono sbarcati sul molo di Salerno circa 370 immigrati (in maggior parte di nazionalità somala ed eritrea). A bordo della “Cantabria” (nave battente bandiera spagnola) sono stati trovati anche i corpi senza vita di 26 persone. Alcuni dei superstiti hanno dichiarato di essere partiti dalle coste libiche. Ciò ripropone il discorso sull’affidabilità della Guardia Costiera libica che già in passato si è resa complice dei trafficanti (come riportato anche in un articolo di Nancy Porsia su Panorama del 14 dicembre 2016). La Guardia Costiera libica così come i centri di detenzione sono gestiti molto spesso da “miliziani” (ossia appartenenti a milizie auto proclamate che comunque controllano diversi territori della Libia) spesso parti attive nelle trattative.

Per il rispetto degli accordi di agosto, l’Italia ha garantito supporto logistico, tecnico-organizzativo e tecnologico alla Guardia Costiera libica .

Si parla anche ( a farlo è in particolare l’agenzia di stampa AP) di contributi “economici” che sarebbero arrivati direttamente alle milizie che “regolano” il traffico dei migranti.

Il problema della corruzione in Libia (a prescindere dagli accordi internazionali) è comunque fenomeno acclarato anche dalle diverse fonti che accusano direttamente le forze dell’ordine (ad esempio nella gestione dei centri di detenzione, in particolare al confine con il Mali).

 

Matera 2019: la moltiplicazione dei pani?

Il finanziamento iniziale al progetto era di circa 50 mln di euro. Si calcolano in circa 1 mld  le ricadute economiche sul turismo.

Di Giampiero Calia – 13 novembre 2017

 

Il 17 ottobre scorso si è consumato il terzo anniversario della proclamazione di Matera a “capitale europea della cultura 2019”.

Solo per la proclamazione lo Stato (in particolare il Mibact) e la Regione avevano pattuito un investimento di circa 25 mln, ma la raccolta totale per quella prima operazione è stata di circa 50 mln (altri soggetti, pubblici e privati, si sono infatti aggiunti).

In virtù della nomina, però, hanno avuto luogo, sotto diverse voci di bilancio, anche altri e successivi finanziamenti. Si va infatti da contributi statali alla Regione (“Patto per il sud”) a quelli al comune di Matera (“contratto istituzionale di sviluppo”). Altre misure, poi accrescono questa cifra: nel def (documento di programmazione economico-finanziaria) ad esempio è infatti stanziata una cifra di circa tre milioni di euro per interventi in infrastrutture, dal bando “periferie” sono stati spuntati altri tredici milioni. Foto patto per il sud

 Dal punto di vista strettamente finanziario,  il “contratto istituzionale di sviluppo” firmato a palazzo Chigi lo scorso settembre (parti in causa Governo, comune e Regione, con Invitalia soggetto attuatore ed un commissario nominato direttamente dal Governo, Salvatore Nastase, a coordinare le varie fasi degli  interventi) prevede un investimento totale di circa 400 mln di euro: si tratta di interventi diretti, di cui poco più di cento milioni al programma di Matera 2019 e circa trecento alla regione Basilicata.

Ma la natura di tali finanziamenti (in particolare il Patto per il sud ed il contratto istituzionale di sviluppo) è la stessa: si tratta infatti di fondi europei, già esistenti e stanziati (in particolare per la Regione Basilicata per una cifra che raggiunge i 700 milioni di euro)

Quindi molti dei proclami di finanziamenti per l’operazione “Matera 2019) sono espressione di un “maquillage” nel senso, appunto, che (in tutti casi su citati, a parte le misure del DEF e quelle del bando periferie)  si tratta di fondi europei già previsti dai FESR 2013-2020. Questi interventi (in particolare Patto per il sud e contratto istituzionale di sviluppo) sono dunque nient’altro che attuazione del programma FESR.

A ben vedere dunque le entrate effettive (quelle non coperte dai fondi FESR) non supererebbero i quaranta – cinquanta milioni (entrate che comunque si sarebbero potute produrre anche senza la proclamazione) e l’operazione di marketing territoriale di Matera 2019, nonché la nomina del commissario servirebbero, in realtà, per agevolare l’accesso a fondi già esistenti e previsti.

Dal punto di vista delle ricadute economiche, si considera soprattutto il settore del turismo (particolarmente sensibile alle operazioni di marketing territoriale). Fonti istituzionali considerano in circa 1 mld il ritorno economico del settore fino al 2019. Il numero dei visitatori è infatti cresciuto negli ultimi tre anni di quasi il 100% (dai 120000 del 2103 ai 200000 del 2016 ed il trend è in crescita) ed è cambiata anche la tipologia del visitatore: a fronte di gruppi organizzati provenienti da regioni limitrofe per la classica scampagnata di i giorno che arrivavano fino a qualche anno fa, oggi arrivano anche turisti stranieri che soggiornano per periodi di tempo considerevoli (è il caso ad esempio di una coppia di turisti inglesi che soggiornano per ben due mesi in alberghi extralusso); ci sono poi i sempre più numerosi eventi o convegni, i cui ospiti rimangono per tutto il periodo dell’iniziativa.

 

BASILICATA E MEZZOGIORNO/Attualità

Quale programmazione culturale da parte del comune di Matera?
di Giampiero Calia – 13 settembre 2017

L’assessore all’innovazione del Comune di Matera, Enzo Acito (uno degli assessori subentrati in uno dei diversi rimpasti operati dall’amministrazione De Ruggieri), chiamato dal sindaco De Ruggieri un anno fa a coordinare gli assessorati (soprattutto cultura e turismo) interessati dal processo messo in moto dalla candidatura (prima) e dalla proclamazione (poi) a “capitale europea della cultura”, aveva annunciato, in concomitanza del lancio del primo bando per gestire gli “eventi” in città, che questo sarebbe stato il metodo da adottare per tutti gli eventi cittadini. Ora sembra che tale metodo sia stato proprio soppiantato lasciando alla totale iniziativa privata prima la realizzazione degli eventi  (è il caso ad esempio di un concerto tenutosi a Matera lo scorso mese di agosto, senza erogazione di contributi pubblici ma con le necessarie autorizzazioni), poi la gestione unica (la c.d. “notte bianca” – con tanto di contributi pubblici) ed infine addirittura la l’intera regia di un evento (per l’annunciato, prossimo, carnevale).
Ha fatto discutere, infatti, in città, l’affidamento diretto della gestione di un “evento” chiamato a coprire quella che negli anni passati era la “notte bianca”. Ed ha fatto discutere sia per le modalità (l’affidamento diretto della gestione dell’evento senza alcun bando ) che per il merito (la notte bianca, in origine, è nata per consentire la fruizione dei “beni culturali”, come musei o chiese,  in orario notturno altrimenti non visitabili).
A sottolineare quello che a molti (organi di stampa ed “intellettuali”) era parso, prima dello svolgimento,  solo un evento estemporaneo, di puro spettacolo o intrattenimento senza alcuna sostanza culturale, anche uno storico e scrittore materano, Giovanni Caserta, che, con una lettera, ha stigmatizzato l’iniziativa criticando l’intervento pubblico (e la relativa la spesa di 30.000€) per un evento annunciato come “culturale”. Si è trattato in realtà di un’iniziativa volta ad attirare il maggior numero di gente nei Sassi con artisti di strada e concerti.
Ad agosto un twitt dell’editore barese Alessandro Laterza ha fatto altrettanto discutere:”Matera capitale della cultura?..no, solo di b&b e pizzerie..”, riferendosi all’aumento soprattutto dei prezzi degli affitti nel centro città, lievitati per l’aumentare del flusso turistico, tanto che una nota libreria è costretta a fare i bagagli, mentre spuntano come funghi appunto pizzerie e bed and breakfast.
A ben vedere i due fatti sono collegati dal fatto che l’amministrazione pubblica risulta impotente rispetto al calmieramento dei prezzi (lasciando al solo mercato il compito di dare forma ad una parte dell’economia cittadina) ed inadeguata alla una gestione, coordinata e programmata, degli eventi culturali in vista del 2019 (lasciando che sia solo la quantità di turisti o di persone in genere, insomma il consenso, a determinare la bontà, soprattutto culturale, di un’iniziativa).
Insomma la cultura pare essere tutelata alla stregua di un’iniziativa di intrattenimento, senza alcuna previsione di una politica culturale e men che meno senza la visione della costruzione di un’industria culturale .

 

Italia/Attualità

Il G7 di Taormina dopo il G8 di Genova: cosa è cambiato.

di Giampiero Calia – 22 giugno 2017

 

Per quello di Taormina in molti hanno parlato di un G6 + 1 per via delle posizioni, soprattutto in materia di immigrazione, clima e commercio internazione, del presidente americano Donald Trump.

E’ ormai da tre anni (quattro edizioni del “club” dei “greats”), inoltre, che summit tra i Paesi più industrializzati del mondo  si  tiene senza quello che però appare sempre più (soprattutto dopo lo scandalo informatico dei dati della Casa Bianca e dei presunti rapporti con il Governo Trump) come il convitato di pietra, ossia la Russia.

Inizialmente quando fu istituito, nel 1975, i Paesi rappresentati erano in realtà proprio sei: mancavano Canada e Unione Sovietica, che ne entrarono a far parte nel ’77 la prima e nel ’91, dopo la caduta del muro di Berlino, la seconda, nel frattempo diventata Federazione Russa. Quest’organismo, che non ha poteri decisionali ne vincolanti ma che rappresenta un momento di incontro informale tra i Paesi economicamente più forti, rappresenta gli Stati (che, come abbiamo visto, possono variare nel numero a seconda delle contingenze geo-politiche) che almeno in teoria detengono le sorti dell’economia globale. Ma se questo era vero almeno fino al G8 di Genova, ora non è più così tant’è che colossi economici come India o Cina non ne fanno parte: i Paesi  rappresentanti, infatti,  sono sempre gli stessi dalla nascita dell’organismo ad oggi.

Anche per questo periodicamente si tiene il G20, forum dei ministri delle finanze e dei governatori delle Banche centrali che tiene conto delle economie in via di sviluppo.

Oggi dunque, come sostenuto da Paolo Magri (direttore dell’ISPI) “più che essere l’incontro tra i Paesi più forti in economia, il “summit dei grandi” dovrebbe essere l’incontro tra i Paesi con le democrazie più avanzate”; tant’è che la stessa Russia è stata estromessa dal tavolo (nel 2014) come sanzione per l’invasione della Crimea nella crisi con l’Ucraina.

E’ dal 1999, però, che il G8 ha cominciato ad assumere un’importanza anche “popolare” (e non solo per addetti ai lavori): l’incontro che si tenne a Seattle, infatti, determinò la nascita del movimento antagonista “no global” che raggiunse il suo culmine con le manifestazioni di Genova del 2001. Da allora sono cambiate le condizioni sociali ed economiche:  la globalizzazione e la digitalizzazione hanno trasformato i processi produttivi e industriali , la crisi finanziaria del 2007 che ha fatto collassare intere economie di sistema e l’avanzare sulla scena mondiale di nuovi colossi economici come la Cina o l’India ha modificato i rapporti di forza tra i players politico economici. Dal G8 di Genova è cambiato inoltre anche il modo di “comunicare” il summit: se prima del 2001 (l’anno che è considerato “spartiacque” per quest’organismo e per come è percepito a livello “popolare) quindi il forum era considerato come appannaggio delle grandi potenze economiche mondiali, supportate in particolare dal WTO (World Trade Organization), oggi invece il forum si pone più come un tavolo di discussione, di supporto alle organizzazioni internazionali (ONU, Nato, ecc.), che si occupa di questioni non più prettamente economiche (occupandosi dunque in maggior parte di politica).

L’esempio del G7 2017 (a presidenza italiana) è calzante sia per l’intenzione di coinvolgere i territori locali – dal forum generale di Taormina (del 26 e 27 maggio) a quelli tematici (Firenze – forum dei ministri della cultura, 30 e 31 marzo -, Lucca – forum dei ministri degli esteri, 10 e 11 aprile-, Bari – forum ministri economici, 11, 12 e 13 maggio -, Bologna – forum ministri dell’ambiente, 11 e 12 giugno -, Cagliari – forum ministri trasporti, 21 e 22 giugno -) – che per la discussione di temi, come cultura o ambiente, che non erano all’ordine del giorno nei forum fino al 2001.

 

Italia/Attualità

Il ministero della salute e le campagne “sociali”: quando la tutela del diritto alla salute confligge con altri diritti (uguaglianza, parità di trattamento, ecc.)

 di Giampiero Calia – 12 maggio 2017

 

Le campagne sociali del ministero della salute spesso (in questi ultimi anni) si sono rivelate particolarmente pretestuose. Il caso più recente è quello del “fertility day” in occasione del quale il ministero della salute ha commissionato una campagna di comunicazione sugli “stili di vita” che è stata palesemente discriminatoria (tanto che lo stesso ministro della salute ha dovuto far rimuovere l’immagine con tanto di uomo di colore a simboleggiare uno stile di vita scorretto, come se di per se essere di colore fosse sintomo di chissà quale stile di vita).
Il Ministero, si sa, è preposto istituzionalmente alla tutela della salute, uno dei diritti fondamentali dell’uomo. Ma in molti casi questa tutela è andata oltre il proprio ambito configgendo con altri diritti, ugualmente sanciti e garantiti a livello nazionale ed internazionale.  Il divieto di discriminazione, ad esempio, è sancito a livello italiano dall’art. 3 della Costituzione ed a livello europeo dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Dal punto di vista della comunicazione, esperti (soprattutto visual designer che su internet hanno stigmatizzato l’accaduto) rilevano che quando il messaggio è esagerato o edulcorato, la contraddizione emerge in termini di discrasia tra rappresentato e rappresentante. Gli addetti alla comunicazione del Ministero della salute in questo caso hanno utilizzato un’immagine già esistente che però pubblicizzava un prodotto per i denti. Il responsabile della comunicazione al Dicastero è stato sostituito e la campagna annullata.

Stessa discrasia tra correttezza della comunicazione e messaggio vi è stata (e ancora vi è) nel caso della campagna “antitabacco”di un’immagine utilizzata per i pacchetti di sigarette: si è fatto vivo ad un’emittente radiofonica un signore dicendo che l’immagine su un pacchetto di sigarette era quello di suo padre colpito da ictus e che il paziente in questione non aveva mai fumato.

Italia/Politica

Le Riforme del governo Renzi in “capo” a Gentiloni e gli interventi della Giustizia costituzionale ed ordinaria.

di Giampiero Calia – 27 gennaio 2017

 

ROMA – Diversi i provvedimenti approvati dal Governo dimissionario di Renzi che costituiscono (almeno nelle intenzioni dei loro promotori) altrettante riforme normative. Lo stesso scopo dell’ex governo in carica, lo sappiamo, era proprio quello di attuare una serie di riforme istituzionali e costituzionali.

E allora se la più importante tra queste riforme (quella che costituiva il perno di tutto l’impianto riformistico renziano) non è andata in porto, altre invece sono state approvate con procedimento legislativo ordinario. Interi settori, dunque, dell’amministrazione dello Stato sono stati oggetto di riforma: dalla scuola al lavoro, dalla Pubblica Amministrazione alla Giustizia. Diversi gli interventi in materia di Giustizia (per quanto riguarda il diritto penale sostanziale: l’introduzione del reato di auto riciclaggio, le modifiche apportate ai reati della Pubblica Amministrazione – in merito alla corruzione -, le reintroduzione del reato di falso in bilancio; per quanto riguarda il diritto penale procedurale: la modifica dei termini per la custodia cautelare e quelli della prescrizione del reato – in particolare quelli di corruzione); così come per la Pubblica Amministrazione (sia per prevenire reati di corruzione che nell’ottica della spending review); il tutto con la supervisione, supportata da pareri e suggerimenti, in forma di direttive, della Autorità Nazionale Anti Corruzione di Raffaele Cantone. Il disegno di legge delega (per la riforma della Pubblica Amministrazione), approvato alla Camera il 17/07/15 ed in via definitiva al Senato il 04/08/15 è stato impugnato innanzi alla Corte Costituzionale e da quest’ultima – sentenza n. 251 del 2016 – ritenuta incostituzionale nei punti in cui questa prevedeva la possibilità di licenziare i dipendenti assenteisti, di licenziare i dirigenti, di eliminare molte partecipate e di riordinare alcuni servizi pubblici.

Vi sono state poi quelle più prettamente “sociali” che hanno avuto anche un forte impatto emotivo e mediatico (tanto da incidere sull’esito del referendum del 4 dicembre e che hanno visto scendere in campo sindacati e organizzazioni di categoria, questi ultimi impegnati per la presentazione di un referendum abrogativo del jobs act, sul quale la Corte Costizionale si è però espressa in maniera sostanzialmente negativa): lavoro e scuola, appunto. Ebbene per l’organo di controllo della legittimità delle leggi il jobs act è legittimo quanto meno  per la parte relativa alla riforma dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori (sottoposti a referendum saranno dunque solo i due quesiti relativi ai vaucher – ma solo per una loro modifica – e all’appalto di lavoro).

Vi è stata, poi, la riforma della scuola relativamente soprattutto all’assunzione dei circa centomila insegnanti inseriti nelle graduatorie. Diverse migliaia però sono stati i ricorsi da parte degli insegnanti contrari al trasferimento in altre sedi (diverse da quella di provenienza). Ebbene, giudici ordinari (soprattutto del lavoro) hanno accolto, con procedimenti “d’urgenza”, i ricorsi.

In particolare, poi, la riforma “Madìa” e la legge elettorale “Italicum” (approvata nel 2015) sono state scritte nell’ottica ed in combinato disposto con la riforma (bocciata ai referendum dello scorso dicembre) Boschi.

La sentenza della Corte Costituzionale sull’italicum, infine, si è espressa sui quesiti sollevati eliminando dalla legge elettorale il ballottaggio e rimettendo ad un sorteggio la scelta nel caso di candidature multiple, lasciando invece inalterati (e dunque in vigore) i capilista bloccati ed il premio di maggioranza per il partito che raggiunge almeno il 40% delle preferenze. Questo per la Camera dei Deputati; per il Senato invece rimane in vigore il cd “Mattarellum” (sistema elettorale reintrodotto dalla stessa Corte Costituzionale dopo la sentenza di illegittimità della legge Caldaroli, cd “Porcellum”). Per la Suprema Corte, dunque, con questo sistema è possibile già andare ad elezioni.

Insomma quasi tutto l’impianto delle riforme renziane ha subito e sta subendo il legittimo controllo democratico delle leggi, da parte del popolo (con i referendum) e da parte degli organi giurisdizionali; ed è in tal modo dunque che le riforme vanno ad integrarsi nel corpus normativo statale.

 

Dalle torture di Genova nel 2001 all’introduzione nell’ordinamento italiano del relativo reato. 

di Giampiero Calia – 19 dicembre 2016

 

ROMA – Tra i provvedimenti rimasti nel “pantano” del Parlamento (prima per l’ostruzionismo di vere e proprie lobby legate a forze di polizia e sindacati e poi per la recente crisi di Governo) vi è anche quello che introduce nell’ordinamento italiano il reato di tortura.

La sentenza della Corte europea di Strasburgo dell’aprile 2015 (che ha riconosciuto esserci stata tortura a Genova nel 2001 nei confronti degli occupanti della scuola Diaz prima e nella caserma di Bolzaneto  poi), ha rimarcato la mancanza nel sistema penale italiano di uno specifico reato in materia.

Segnalazione che a suo tempo (immediatamente dopo la sentenza su citata) fu immediatamente presa in carico dal governo Renzi (i cui dicasteri interessati erano, in maniera particolare, rispettivamente quelli della Giustizia e della semplificazione della Pubblica Amministrazione) che aveva fatto approvare l’introduzione nell’ordinamento italiano del reato di tortura tramite proposta di legge.

In seguito poi è stato redatto un vero e proprio disegno di legge, discusso in Parlamento a luglio scorso, rinviato poi a settembre ed infine arenatosi per la volontà contraria di quella che è una vera e propria lobby (quella dei sindacati e dei rappresentanti delle forze dell’ordine) che aveva il suo vertice, fino al cambio di destinazione al Ministero degli Esteri, nel ministro Angelino Alfano.

Il provvedimento normativo, così come scritto, andrebbe a coprire così anche i casi di singoli soggetti sottoposti a misure di polizia (quali fermo, arresto , ecc.): insomma quelli per cui esponenti delle forze dell’ordine hanno risposto di eventi drammatici (come la morte) solo con reati quali abuso di autorità su arrestato, arresto illegale, ecc. (il riferimento in particolare è ai “casi” Uva, Aldovrandi, Cucchi, ecc.); e senza altresì poter essere individuati nell’immediatezza dei fatti tramite codice identificativo.

Il reato di cui al ddl n.849 introdurrebbe invece all’art. 613 bis del Codice penale un apposito reato, quello di tortura, appunto, previsto in quasi tutti gli ordinamenti dei Paesi UE e disciplinato nelle linee generali dalla normativa europea (in particolare dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), essendo l’Italia uno dei pochi Paesi a non prevederlo esplicitamente.

Così come disciplinato nel testo in questione, la fattispecie è costruita come “reato comune” (ossia come reato per cui si risponde come comune cittadino senza privilegi e condizioni di particolari organi o enti di Stato) con la possibilità dunque per le forze dell’ordine di essere sempre dotati di codice identificativo, per essere individuati nell’immediatezza dei fatti (cosa che invece attualmente non avviene).

La sospensione dei lavori a luglio e dunque il rinvio (tra le maglie del procedimento di formazione della legge di cui all’art 70 della Cost. – oggetto della riforma costituzionale sottoposta al referendum del 4 dicembre – così come poi operativamente applicato anche in base ai regolamenti parlamentari) era stata determinata dalle resistenze anche interne alla maggioranza, in particolare da NCD (il cui segretario nazionale è l’ex ministro dell’interno Angelino Alfano, ossia il “capo” degli agenti di polizia), che ne hanno contestato la natura di reato comune e volendolo far rientrare invece tra le fattispecie dei cd reati delle forze dell’ordine (ossia reati che possono essere commessi da particolari appartenenti a organi o enti di Stato, appunto quelli delle forze dell’ordine; reati dotati cioè di particolari condizioni di procedibilità).

 

Il programma quadriennale del comune di Matera e la “governance” della Fondazione Matera – Basilicata 2019
di Giampiero Calia – Maggio/giugno ’16 

 

MATERA  – Le scorse elezioni amministrative, che hanno portato alla carica di sindaco Raffaello De Ruggeri, hanno rappresentato una discontinuità politica rispetto al passato e segnato un cambio di passo nella “governance” della Fondazione preposta a gestire il programma di iniziative fino al 2019.

Due importanti incontri con la stampa si sono avuti in questi ultimi mesi: alla fine di marzo per la presentazione del programma quadriennale dell’amministrazione comunale e agli inizi del mese di maggio per la presentazione ufficiale della “nuova” Fondazione Matera – Basilicata 2019.

Tra gli interventi previsti nel programma, particolare attenzione rivestono quelli in materia di mobilità (in riferimento soprattutto alla tangenziale ovest) e di riqualificazione urbana (particolarmente di piazza della Visitazione). Tali interventi sono stati finanziati dal Fondo Coesione e Sviluppo, inserito dal Governo nella legge di stabilità 2016.

Per quanto riguarda la Fondazione (costituitasi nel settembre 2014), Aurelia Sole (rettrice dell’Università degli studi di Basilicata) è stata nominata presidente e Paolo Verri (nel frattempo divenuto direttore generale di “Puglia promozione” – ente della regione limitrofa) è stato confermato direttore.

Da un punto di vista politico – legislativo, la maggiore novità consiste nel fatto che prima ne era presidente il sindaco della città: alla luce, poi, della normativa in materia di anticorruzione, l’attuale sindaco si è dovuto dimettere sia dalla carica di presidente della fondazione Matera 2019 che da quella di presidente della fondazione Zetema.

Il cambio della “governance”, insieme ad alcune questioni quali il nome della fondazione, la definizione di uno statuto, l’opportunità di modificare il logo dell’ente, hanno tenuto banco negli ultimi mesi nella discussione a livello locale. Il punto ne è stato l’individuazione del reale ed effettivo centro di potere nella gestione di un ente chiamato, oltre che a stabilire un cartellone di iniziative, anche a gestire un investimento di circa 50 mln €.

 

Petrolio lucano

Di Giampiero Calia – Aprile ’16

 

POTENZA – E’ un petrolio che brucia quello lucano, in tutti sensi. Lo sanno soprattutto presso la Procura di Potenza, dove la Dda ha “scoperchiato”, soprattutto nel caso dei lavori da approntare per un cantiere relativo all’estrazione (ed al trasporto) di gas metano in località Tempa Rossa, un “malaffare” (allo stato attuale del procedimento è più corretto, almeno giornalisticamente, definire in questi termini quelle che sono ipotesi di reato che vanno dalla truffa al peculato al traffico d’influenze illecite) che ha messo in evidenza “collusioni” e “indebite ingerenze” tra esponenti politici e imprenditori, locali e nazionali e che ha portato a provvedimenti restrittivi nei confronti, tra gli altri, di Rosaria Vicino, ex sindaco di Corleto perticare (paese in provincia di Potenza sul cui territorio insiste lo stabilimento Total per le estrazioni di idrocarburi) e Gianluca Gemelli, compagno (all’epoca dei fatti contestati) dell’ex ministro allo Sviluppo Economico (Federica Guidi), accusati per diverse tipologie di reati di corruzione propria ed impropria.

Ma lo sanno anche nei Palazzi del potere romano, dove gli stessi procuratori si sono recati per ascoltare (come persona informata dei fatti) il ministro per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi. Sotto i riflettori una norma della legge di stabilità 2015 che prevede (al comma 552, lettera a) che il Ministero dello Sviluppo Economico possa rilasciare direttamente le autorizzazioni alle imprese che lavorano nel settore di gas e idrocarburi in materia di infrastrutture e trasporti. Stiamo parlando di una materia (quella energetica/ambientale) che, secondo l’impostazione della riforma costituzione agli artt. 117 e ss della Costituzione (che sarà votata per la sesta volta in questo mese di aprile e sulla quale si esprimeranno i cittadini con referendum il prossimo autunno), è destinata a diventare di competenza statale (e non più regionale).

Dunque l’aver messo sotto i riflettori questo emendamento non comporta soltanto conseguenze giudiziarie, ma piuttosto politiche, tanto più che il 17 aprile i cittadini sono chiamati al referendum abrogativo di un altro emendamento (quello della norma della legge Sblocca Italia per cui le concessioni dei giacimenti in mare entro le 12 miglia marine durano fino ad esaurimento degli stessi) e finanche morali.

E ricordiamo anche che fu un emendamento (al decreto fiscale del dicembre 2014) quello che fece gridare al complotto con Silvio Berlusconi.

L’emendamento in questione era stato inizialmente inserito nel decreto sblocca Italia e poi ritirato. Renzi se ne è assunto la paternità (come fatto, tra l’altro, in altre situazioni quale quella dell’emendamento all’art. 19 bis del decreto fiscale di dicembre 2014).

Insomma quella degli emendamenti pare essere, in questo Governo, una vera e propria tecnica legislativa, tramite la quale l’esecutivo sta tentando di dare già attuazione alle riforme (nel caso della materia energetico/ambientale) tramite appunto il decreto Sblocca Italia 2014 e la legge di stabilità 2015.

Nei due casi di specie, Renzi ha tenuto a ribadire che la ratio dei due emendamenti in materia energetico/ambientale è lo sblocco dei lavori di opere pubbliche (ma anche private) in funzione anti crisi.

Insomma in campo ci sono questioni squisitamente politiche come quella delle modalità di scrittura e/o formazione della legge con riferimento agli emendamenti che vengono inseriti (in particolare da organi dell’esecutivo) ed anche se vengono sottoposti a discussione e /o votazione (altre invece, con il cd. “canguro”, vengono nel caso solo discusse e votate in commissione e non anche in aula) spesso non se ne percepisce la “reale” portata. In tale ultimo caso, invece, la questione è puramente morale poiché sarebbe da indagare la reale intenzione del proponente, ovvero la buona o la mala fede di chi scrive la norma nel caso particolare e quella del legislatore in generale.

Come puramente “morale” è la questione degli scambi e dei favori tra “conniventi”: l’imprenditore che “usa” la compagna politica, la “sindaca” che pilota le assunzioni in società collegate a Total, o che si accredita presso politici nazionali (De Filippo) per ottenere assunzioni (quella del figlio presso una società collegata a Total).

Della stessa Procura di Potenza le inchieste “Total-gate” (avviata dal pm Woodcock nel 2008 ed arrivata a sentenza lo scorso 04 aprile con nove condanne – anche se, fonte” Wall Street journal”, i 47 condannati in primo grado godranno degli effetti della prescrizione), ed altre che riguardano il Cova (Centro Oli in Val D’Agri), tra cui quella comunicata, con le ordinanze di custodia cautelare per cinque dipendenti ENI (per reati ambientali quali traffico e smaltimento illecito di rifiuti), contemporaneamente a quella ultima di “Tempa rossa”.

 

Il “nuovo” sistema elettorale tra presidenzialismo e bipolarismo

Di Giampiero Calia – Febbraio ’16

 

ROMA – Il sistema elettorale italiano, come disegnato dalla legge (c.d. “Italicum”) approvata in via definitiva il 04/05/15 (ma che entrerà in vigore solo a luglio 2016), determina, in virtù del combinato disposto con il disegno di legge costituzionale approvato lo scorso autunno, un modello per cui a maggiori poteri dell’esecutivo corrisponde anche un allargamento della platea per l’elezione del capo dello Stato (semipresidenzialismo o premierato).

Da un punto di vista puramente tecnico, invece, il nuovo modello ricalca quello delle elezioni amministrative (comunali e regionali), realizzandosi un modello alla fine, per via del ballottaggio, maggioritario, ma che, per le posizioni di partenza (per via della possibilità di qualsiasi partito o movimento ad essere eletto, purchè con la soglia minima del 4%), può anche dirsi proporzionale.

Il sistema elettorale maggioritario è un sistema, che in Italia si è cercato di perfezionare dal 1994 (dal tramonto dei partiti tradizionali spazzati via dal “ciclone” tangentopoli), tendenzialmente bipolare, come quello in vigore in Inghilterra o negli Stati Uniti.

In Italia infatti si sono succedute, dopo l’abrogazione della legge del 1946 che determinava un sistema elettorale proporzionale puro, ben due testi di legge prima di approdare all’Italicum (attraverso una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la legge “Calderoli”). Entrambi (Mattarellum e porcellum) hanno cercato di realizzare un sistema maggioritario (sull’esempio francese e/o tedesco) ma senza incidere sulla questione dei poteri dell’esecutivo e/o del presidente della Repubblica. Una riforma monca insomma che lasciava inalterato il sistema essenzialmente parlamentare della nostra Repubblica. Con la riforma costituzionale attuale invece tale passaggio “storico”, su cui si sono espressi anche diversi costituzionalisti, sembra compiersi.

Entrando invece nel merito della composizione parlamentare, vi è da dire che, attualmente, il nostro è un sistema che non può dirsi bipolare, nel senso americano o inglese, dove alla fine delle elezioni si sa sin da subito chi deve governare e chi deve stare all’opposizione; ma piuttosto è in linea con i sistemi dei Paesi dell’Europa continentale, dove può succedere (come è successo in Italia e in Germania nel 2013, in Grecia ed in Spagna nel 2015) che, ad elezioni concluse, pur essendoci un partito che raccoglie più voti, non si sa con chi debba governare. Nei sistemi di questo tipo vi è la necessità, allora, di ricorrere alle “grandi coalizioni” tra partiti di schieramenti opposti.

E’ il problema, appunto, della governabilità che in Italia, con l’attuale riforma, si sta cercando di risolvere con il metodo del ballottaggio.

Attualmente, dunque, in Italia c’è una sorta di “tripolarismo”:  con una formazione, quella di governo, che mette insieme il maggior partito italiano (il Pd) con neo formazioni di centro e/o centro destra, con una destra che ha perso il suo punto di riferimento degli ultimi vent’anni (Berlusconi) ed una sinistra ridotta al lumicino; laddove il m5s, rappresentando “l’antipolitica”, non ha una collocazione ben definita rappresentando una sorta di specchio di tutta la composizione parlamentare, potendo assumere, volta per volta, connotazioni di sinistra, di centro o di destra.

 

La “nuova” ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni a partire dallo “Sblocca Italia”

Di Giampiero Calia – Novembre ’15

 

ROMA – Che lo Stato voglia riappropriarsi di tutte quelle competenze che, in vigore degli attuali artt. 117 e ss. della Costituzione, sono c.d. “concorrenti”, è già in un certo senso anticipato nel decreto “Sblocca Italia”, in riferimento particolare alla materia energetica, tanto che dieci regioni italiane (con capofila la Basilicata) hanno proposto un referendum abrogativo degli artt. 35 e 38 dello stesso decreto. Referendum che è al vaglio della Corte Costituzionale per quanto riguarda la sua ammissibilità.

Ma il testo base per la riforma del titolo V è il disegno di legge costituzionale (approvato di recente ma sul quale dovrà esprimersi tutto l’elettorato tramite referendum) sul “superamento del bicameralismo paritario; per la riduzione del numero dei parlamentari; per il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni; per la soppressione del CNEL..”  e, appunto, “per la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione”. Per quest’ultima parte della legge approvata lo scorso 13 ottobre, rileva soprattutto l’art.33, relativo cioè ai costi standard per le Regioni e all’eliminazione delle competenze concorrenti. Nella legge in questione, inoltre, è stato recepito un emendamento che attribuisce alle Regioni potestà legislativa in materia di politiche sociali. Un successivo disegno di legge, inoltre, sarà presentato per ridurre il numero delle Regioni (è la questione che tiene banco in questi giorni sulle c.d. “macroregioni”).

La riforma del titolo V della Costituzione, in realtà, è stata già operata durante il secondo governo Berlusconi: è del 2001 infatti la legge costituzionale n. 3 che delineava le competenze Stato – Regioni, assegnando a quest’ultime nuovi e ulteriori poteri. Ricordiamo che la spinta “ideologica” a quella riforma, che ora si vuole nuovamente riformare, era della Lega nord (che in realtà voleva un ben altro federalismo, decisamente più orientato per maggiori poteri alle Regioni). Ed è proprio la “ratio” di tale riforma che ora si vuole modificare, cambiando dunque l’assetto istituzionale dei rapporti Stato Regioni anche con l’istituzione delle c.d. “macroregioni”.

 

La Riforma costituzionale del Senato

Di Giampiero Calia – Ottobre ’15

 

ROMA – E’ una delle tre riforme (legge elettorale, titolo V della Costituzione e Senato) “cavalli di battaglia” del governo Renzi, in carica dal febbraio 2014 e per i quali è stato istituito un apposito ministero (per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento) con a capo Maria Elena Boschi.

Quello che è in discussione alla Camera in questi giorni e che concluderà il suo iter parlamentare a metà ottobre è un disegno di legge costituzionale che dovrebbe modificare nella sostanza, soprattutto in tema di composizione (art. 2) e di funzioni (art. 1), uno dei due rami del Parlamento, il Senato appunto, e che abolirebbe il “bicameralismo perfetto” (artt. 55 e 57 della Costituzione). Lo stesso ddl, inoltre, regola anche materie come la c.d. “spending review” ovvero la riforma del titolo V della Costituzione.

Sulla questione, ed in modo particolare sulle modalità di scelta  dei senatori (Senato formato da rappresentanti degli enti territoriali), sono stati audìti dal Governo una ventina di costituzionalisti, i quali non hanno rilevato problemi di cambio di assetto degli equilibri costituzionali (in relazione soprattutto ai “pesi e contrappesi” della democrazia), a fronte di altri che invece, soprattutto sugli organi di stampa, si sono espressi in maniera negativa.

La norma maggiormente dibattuta, dunque, è quella di cui all’art. 2 che  nella sua formulazione originale così recita:”L’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente: Il Senato delle Autonomie è composto dai Presidenti delle Giunte regionali, dai Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano, dai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione e di Provincia autonoma, nonché, per ciascuna Regione, da due membri eletti, con voto limitato, dal Consiglio regionale tra i propri componenti e da due sindaci eletti, con voto limitato, da un collegio elettorale costituito dai sindaci della Regione. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti. La legge disciplina il sistema di elezione dei senatori e la loro sostituzione, entro sessanta giorni, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. Ventuno cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario possono essere nominati senatori dal Presidente della Repubblica(…)»Di seguito all’approvazione di un emendamento, l’articolo è stato modificato prevedendo una forma di elettività per i senatori rappresentanti degli enti territoriali. In tal caso la norma sarà integrata dalla legge elettorale.

Previsto, inoltre, decorso un termine dall’approvazione della legge, un referendum confermativo della stessa, trattandosi infatti di materia costituzionale.

L’art. 1 (approvato espressamente il 01 ottobre) regola invece, andando a sostituire l’art. 55 della Costituzione,  quelle che dovrebbero essere le nuove funzioni del Senato delle Autonomie, ed in particolare:”Il Senato delle Autonomie rappresenta le istituzioni territoriali. Concorre, secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa ed esercita la funzione di raccordo tra lo Stato e le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi dell’Unione europea e, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolge attività di verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato e di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche sul territorio”.

Per quanto riguarda l’iter parlamentare vi è da dire che questo è cominciato ad aprile 2014 (quando il disegno di legge è stato depositato) passando attraverso commissioni, audizioni ed emendamenti (rigettati i milioni di emendamenti generati tramite algoritmo e presentati dalla Lega nord) per concludersi proprio in questi giorni (termine ultimo per l’approvazione il 13 ottobre).

Per quanto riguarda le forze politiche in campo, lo schieramento che appoggia il Governo si è dimostrato  compatto quanto meno nell’approvazione dei primi, e fondamentali, due articoli della riforma. Netta, invece, l’opposizione (oltreché della Lega)di Forza Italia, m5s e Sel.

 

La disciplina dei dirigenti pubblici ed il riordino delle forze dell’ordine nella c.d. “riforma” della Pubblica Amministrazione.

Di Giampiero Calia – Settembre ’15

 

ROMA – Che la riforma della Pubblica Amministrazione sia uno dei cardini per l’ammodernamento e l’efficienza del “sistema” Stato è fuor di dubbio. Soprattutto perché una Pubblica Amministrazione efficiente lascia meno spazio ai fenomeni, sia criminali (corruzione e simili) che culturali e di costume (assistenzialismo, clientelismo, ecc.), di degenerazione e della democrazia e del libero mercato.

Il testo del disegno di legge delega, approvato alla Camera il 17/07/15 ed in via definitiva al Senato il 04/08/15, prevede, tra le altre, norme per la disciplina dei dirigenti pubblici e per il riordino delle forze dell’ordine.

Della rotazione dei dirigenti pubblici (in particolare per le società partecipate dallo Stato) se ne era già occupata l’Autorità nazionale Anticorruzione all’indomani del “caso” Ercole Scalza (a capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture prima di essere arrestato per l’indagine sulle “Grandi Opere” e relativi appalti), individuando, nella direttiva del marzo scorso emanata di concerto con il Ministero Economia e Finanza, misure quali: la rotazione dei dirigenti, la incandidabilità (che va ad integrare la c.d. Riforma della giustizia, in riferimento particolare alla legge “Severino”), la previsione di un responsabile anticorruzione per ogni partecipata. Misure che integrano quelle regole di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della nostra Costituzione .

Per quanto riguarda, invece, le forze dell’ordine, vi è da dire che una riforma era più che auspicabile sia nell’ottica di servizi al cittadino e di efficienza della pubblica amministrazione, che di “spending review”. Tant’è che le forze di polizia, secondo la nuova normativa, sono state ridotte a quattro. Ma in questo senso ancora sono da superare “gap” (retaggio di una normativa fascista, come il regolamento di Pubblica Sicurezza del 1933) importanti come l’introduzione dl reato di tortura  (ciò che chiede anche la Corte di Giustizia europea e che è al vaglio del Parlamento nell’ambito della riforma della Giustizia) o del codice identificativo soprattutto per gli agenti del reparto “Celere”.  Ancora: non sarebbe da sottovalutare un’adeguata formazione degli agenti soprattutto in riferimento ai tanti e troppi casi di morti sospette durante operazioni di semplice controllo o di routine nel corso di pattugliamenti o all’interno di commissariati e carceri; e questo per evitare anche la condizione psicologica (vicina a frustrazione o noia) di tanti agenti  e condizioni quali lo spirito corporativo che genera coperture ed omissioni. Quale maturità ha  infatti un ragazzo di vent’anni per scegliersi un lavoro (come quello del poliziotto, che può incidere sulla vita di altre persone) senza una formazione specifica (che non sia quella del servizio di leva)? E quanti di questi ragazzi sono solo spinti dall’offerta economica in cui consiste la retribuzione “sicura” di tali lavori?

E perché, dunque, puntare ancora su una funzione repressiva delle forze dell’ordine così come risulta da un regolamento di pubblica sicurezza emanato in pieno periodo fascista? Non è che forse bisognerebbe puntare più su una funzione preventiva e ridurre a soli due corpi (uno di polizia giudiziaria, che avrebbe funzioni di “intelligence” e l’altro dell’esercito, che avrebbe, nei casi in cui non fosse invece addirittura sufficiente un servizio di tipo civile, la cura del territorio in termini di ordine pubblico)?

 

I “mali” del sud: i “casi” Perotti e Somma.

Di Giampiero Calia – Settembre ’15 

 

Gli ultimi dati dello Svimez (l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno), resi noti lo scorso luglio, fotografano una situazione del sud Italia vicina, da un punto di vista economico, ad un “sottosviluppo permanente” con dati relativi al Pil peggiori di quelli della Grecia. Il governo italiano ha quindi stilato un piano di investimenti per il sud (soprattutto in materia di infrastrutture) di decine di miliardi di euro.

E’ questa però la punta di un iceberg che ha radici nell’annosa “questione meridionale” con cause che sono (oltreché economiche) storiche e culturali. Il fenomeno della criminalità organizzata in regioni del sud Italia come Sicilia, Calabria o Campania, ha rappresentato (sin dalla nascita dell’Italia unita) un serio ostacolo allo sviluppo del mezzogiorno. Non di meno “caratteristiche” culturali, come assistenzialismo o clientelismo, hanno caratterizzato almeno mezzo secolo di pratiche politiche ed economiche. Da quest’ultimo punto di vista paradigmatici sono i casi pugliesi e lucani di due famiglie di “imprenditori” molto vicini ai locali potentati politici.

Stefano Perotti è il costruttore-ingegnere pugliese indagato per reati c.d. “di corruzione” nell’inchiesta fiorentina c.d. “Grandi eventi”. Il complesso residenziale poi abbattuto di “Punta Perotti” a Bari deve ad una “dinasty” di almeno due generazioni il nome. Ebbene il padre è stato presidente della Cassa del mezzogiorno e direttore generale dell’ANAS (arrestato nell’inchiesta “tangentopoli”)  negli anni del boom economico, quando il socialista Claudio Signorile era una vera e propria potenza in Puglia (a Taranto in particolare).

Michele Somma (attuale presidente di Camera di commercio Potenza) è stato inquisito dalla magistratura antimafia lucana per un presunto traffico illecito di rifiuti che ha coinvolto i vertici ENI e Tecnoparco. Destinatario di avviso di garanzia per lo stesso reato, il padre, Fausto, amministratore delegato di Tecnoparco fino alla sua morte (avvenuta nel 2014), già presidente della Banca Mediterranea quando in Basilicata non si muoveva foglia che Emilio Colombo non volesse.

Insomma in questo intreccio di politica ed economia (tenute insieme da pratiche di assistenzialismo e clientelismo), in un familismo che qualcuno definisce “amorale” ed anche in una buona dote di provincialismo risiede il più profondo male culturale del sud Italia.

 

Matera capitale ed i conflitti d’interesse

Di Giampiero Calia – Agosto ’15

 

MATERA – La relazione annuale (del 2015) della Direzione Nazionale Antimafia, per quanto riguarda le criticità in Basilicata, ha rilevato il pericolo di eventuali mire criminali sulla gestione di Matera capitale europea della cultura 2019, attualmente in capo ad una “costituenda” fondazione, (partecipata da diversi enti pubblici, in primis regione Basilicata e Comune di Matera): è di 50 mln di euro l’investimento (venticinque dei quali stanziati dalla regione Basilicata e dal comune di Matera; gli altri in base  a contatti avviati da istituzioni, associazioni e da privati ) che la proclamazione di Matera capitale europea della cultura 2019 ha attirato.

Tale relazione è da spunto per una serie di riflessioni.

Da un punto di vista “politico”, innanzitutto, è da stabilire la funzione di tale ingente investimento: gli interessi che la proclamazione (ma ancor prima la candidatura), dunque, attira sono diversi, proprio per la tendenza a far rientrare di tutto nel “calderone” cultura, a volte, ad esempio, facendo coincidere i settori amministrativo/economici del turismo o delle infrastrutture con quello della cultura, altre considerandoli come settori a quello della cultura propedeutici. Ecco allora la necessità di una gestione trasparente e coerente che dovrebbe destinare i fondi principalmente per le attività culturali (quelle che realmente hanno questo valore) e per lo sviluppo di un’industria (considerando che l’impresa economica è cosa diversa dall’associazione culturale) della creatività.

Da un punto di vista “morale”, poi, quella di “Matera capitale europea della cultura 2019” dovrebbe essere l’occasione per spazzar via i vecchi vizi dell’assistenzialismo, del clientelismo e del familismo.

La necessità di una legge sul conflitto d’interesse è diventata palese in Italia con il “caso” Berlusconi. Sono dunque vent’anni che il Paese aspetta una normativa che ponga limiti e condizioni alle varie e diverse tipologie di concentrazione di potere (economico e politico). E’ attualmente in Parlamento, per l’iter legislativo, un disegno di legge che mette mano alla materia.

Varie e diverse, dunque, ed a diversi livelli (nazionale, locale), sono le tipologie di concentrazione di potere. Facciamo degli esempi a livello locale: Nicola Benedetto, consigliere regionale e candidato sindaco alle ultime elezioni del comune di Matera, dopo aver avviato un’impresa che produce serramenti (con fondi pubblici per l’industrializzazione della val Basento) ha acquistato un antico palazzo nobiliare per farci un hotel cinque stelle e da ultimo risulta aver acquistato (per una cifra che si aggira sui tre milioni e mezzo di euro) un vecchio mulino per il quale si è pronunciata la Giustizia Amministrativa proprio perché non era stata emanata la normativa regionale (c.d. “Piano casa”) in materia ambientale/edilizia.

Angelo Tosto è stato consigliere comunale nella scorsa consiliatura materana ed ha percepito, come proprietario di un’emittente televisiva locale, un contributo di circa 200.000,00 € dal comitato (partecipato in parte dal Comune di Matera) per la candidatura di Matera 2019.

Lo stesso sindaco attuale, Raffaello de Ruggieri, deve la sua fortuna (legata alla “creazione” del Musma) ai finanziamenti ottenuti da enti pubblici (De Ruggieri è stato consigliere regionale negli anni ’80), tra cui il comune di Matera di cui ora è sindaco. La fondazione “Zetema” (che gestisce il Musma, Museo di arte contemporanea), da lui presieduta, prevede che a sedere in consiglio di amministrazione sia proprio il sindaco in carico.

Ma l’esempio più lampante di conflitto d’interessi (o se vogliamo di eccessiva concentrazione di potere) a livello locale è stato l’ex sindaco di Matera, Nicola Buccico, che durante uno dei governi Berlusconi è diventato prima senatore della Repubblica e quindi membro del Consiglio Superiore della Magistratura, essendo stato anche presidente del Consiglio provinciale dell’Ordine degli Avvocati di Matera, nonché, per l’appunto, sindaco della città. Questa eccessiva concentrazione di potere ha fatto parlare (anche per via di inchieste poi archiviate) di una potente lobby, addirittura di “massoneria”, in grado di condizionare diversi aspetti della vita pubblica locale(in particolare per quanto riguarda i normali rapporti, all’interno del Tribunale di Matera, tra avvocati da un lato e giudici dall’altro in virtù soprattutto della nomina a procuratore capo di un magistrato considerato “vicino” al membro del CSM), in funzione di difesa di interessi particolari.

Esistono, in realtà, norme che prevedono casi di incompatibilità a ricoprire “cariche pubbliche” (elettive e/o non elettive): ma il conflitto d’interessi è nozione più vasta e riguarda i casi non ancora previsti dalla legge.  Il conflitto d’interessi, insomma, non si può porre solo in maniera formale (una legge che vieti all’imprenditore x di sedere in qualche ente pubblico) poiché tale divieto formale potrebbe essere bypassato in diversi modi (mettere negli enti pubblici qualche “prestanome”).

 

Urbanistica, edilizia e lavori pubblici: il “caso” del Mulino Alvino a Matera come quello di Punta Perotti a Bari?

Di Giampiero Calia – Luglio ’15 

 

MATERA – Il salvacondotto giuridico della recente sentenza del Consiglio di Stato (23 giugno 2015), che ha deciso sul ricorso presentato dall’impresa edile Cogem spa (del “palazzinaro” materano Egidio Tamburrino) e dal Comune di Matera avverso la decisione del TAR (sentenza del 19/04/2014) che dichiarava l’illegittimità di una concessione (C./73/2012; permesso di costruire n. 044459 rilasciato in data 8 ottobre 2012) rilasciata per un’operazione edilizia che ha sollevato dubbi e dibattiti (circa la riqualificazione di un antico Mulino come contropartita della edificazione “residenziale” di un’area che, secondo il Piano Regolatore Generale vigente, doveva servire da parcheggio e/o verde pubblico a servire un complesso di edilizia “popolare”), è tutto nella legislazione “d’emergenza” del Governo Monti e precisamente nel c.d. decreto “Salva Italia” (n.70 del 13 maggio 2011), il cui art. 5 (al comma 9) prevede un incentivo alla razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente ed alla promozione e agevolazione della riqualificazione di aree urbane degradate. In sostanza, fine della norma sarebbe quello di incentivare tali attività anche nell’ottica della “ripresa economica” del settore dell’edilizia “piegato” dalla crisi nel periodo in questione. Tant’è che la normativa su citata consentirebbe (secondo l’interpretazione data nella sentenza del Consiglio di Stato) delle procedure in deroga, tra cui quella del rilascio del permesso a costruire senza l’avallo del consiglio comunale.

Insomma un provvedimento emanato in base ad una legislazione “d’emergenza” e che per questo, oggi (in una fase economica di ripresa), appare ancora più lesiva degli interessi “ambientali” (tutelati sia in sede amministrativa che penale); laddove, anche, giova ricordare, diversi provvedimenti  del Governo Monti sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale (parti della riforma Fornero, ad esempio, o di quella del pubblico impiego).

Dato che di interpretazione si tratta, dal punto di vista giuridico la questione non può dirsi definitivamente chiusa, essendoci la possibilità di ricorso in Cassazione, quella dell’azione in autotutela da parte del Comune di Matera e non ultima l’azione penale.

Insomma ora anche Matera ha la sua Punta Perotti; solo che a Bari, dopo un contenzioso (che ha coinvolto anche il giudice penale e quello civile) durato una decina d’anni, è stata riconosciuta in via definitiva l’illegittimità della concessione edilizia (rilasciata dall’allora amministrazione di Di Cagno Abbrescia) ed anche il reato di lottizzazione abusiva per i f.lli Matarrese (titolari dell’omonima impresa edile), tenuti a pagare in sede civile risarcimenti milionari, la costruzione abbattuta lì dove ora sorge un parco.

 

Il “caso” Asmel, paradigma della “degenerazione” delle c.d. partecipate

Di Giampiero Calia – Giugno ’15 

 

MATERA – Se n’è occupata l’Autorità Nazionale Anticorruzione che, con una delibera a firma di Raffaele Cantone, ha dichiarato invalidi i bandi predisposti da ASMEL, una società consortile a responsabilità limitata (e cioè una società di diritto privato partecipata interamente da enti pubblici, in maggior parte Comuni) che si occupa di “espletare attività di intermediazione negli acquisti pubblici”; l’appunto dell’ANAC ha riguardato il fatto che la suddetta società non avrebbe i requisiti di “centrale di committenza” previsti dal Codice degli Appalti. Uno dei suddetti appalti, contro la cui delibera di invalidità la ASMEL ha annunciato una serie di ricorsi al TAR, riguarda la “fornitura di una piattaforma informatica municipale multi servizi” al Comune di Matera (appalto che aveva già richiamato l’attenzione della locale Confapi per presunte violazioni della concorrenza).

La relazione annuale (del 2015) della Direzione Nazionale Antimafia, per quanto riguarda le criticità in Basilicata, ha rilevato il pericolo di eventuali mire criminali sulla gestione di Matera capitale europea della cultura 2019, attualmente in capo ad una “costituenda” fondazione, (partecipata da diversi enti pubblici, in primis regione Basilicata e Comune di Matera): è di 50 mln di euro l’investimento (venticinque dei quali stanziati dalla regione Basilicata e dal comune di Matera; gli altri in base a contatti avviati con istituzioni, associazioni e privati ) che la proclamazione di Matera capitale europea della cultura 2019 ha attirato sulla fondazione.

A livello nazionale, a parte i casi di Expo spa e della società che gestisce la costruzione del Mose su cui si sono concentrati gli investigatori lombardi e veneti, ultimamente ha fatto notizia l’indagine per il reato di peculato e per presunte fatture false che ha riguardato il presidente della fondazione che si occupa della gestione del Salone del libro di Torino (partecipata da Comune di Torino e Regione Piemonte e  già nella “lista” Cottarelli, in tema di sprechi della Pubblica Amministrazione).

L’Evasione fiscale: il punto a quattro mesi dal “regalo di Natale”(l’art. 19 bis del decreto fiscale del 24/12/14)

Di Giampiero Calia – Maggio ’15 

 

ROMA – La figura del falso in bilancio è stata reinserita nell’ordinamento (e prevista nel ddl “anticorruzione”, approvato lo scorso mese di marzo), reintroducendo la fattispecie penale anche per le società non quotate in borsa, senza la previsione di soglie di punibilità e con l’aumento delle pene in particolare per le società quotate.

Tale fattispecie, come quella dell’autoriciclaggio, costituisce uno dei reati tipici del diritto penale dell’economia ed incide anche sulla questione dell’evasione (e dell’elusione) fiscale. E’ questa (come nel caso dei reati cd di corruzione – di cui al titolo II del libro II del codice penale – così come riformati dal ddl “anticorruzione” approvato lo scorso mese di marzo), una delle previsioni che, oltre a costituire l’asse portante della Riforma della Giustizia (quella del diritto sostanziale) così come si sta svolgendo durante l’attuale legislatura, incide anche sull’economia nazionale: si calcola infatti che il solo valore dell’evasione fiscale si aggiri intorno ai 140 mld di euro all’anno.

Il Governo a febbraio scorso ha chiesto una proroga per la presentazione del decreto fiscale. La questione si è posta soprattutto in riferimento all’art. 19 bis dello stesso. Articolo che ha fatto discutere (a dicembre scorso) per una presunta modifica (che prevedeva una soglia di punibilità dell’evasione fiscale al 3% del reddito dichiarato) intervenuta al di fuori di ogni accordo, dibattito o dialettica, e che ha presentato motivi di sospetto di partigianeria politica nei confronti del Berlusconi condannato per frode fiscale (con una soglia, appunto, al di sotto del 3%).

Si è parlato in tal caso di una qualche “mano invisibile” che avrebbe materialmente steso la modifica: sono stati chiamati in causa sia la Presidenza del Consiglio che il Ministero dell’Economia. Lo stesso Matteo Renzi a distanza di qualche giorno dal “caso” si è assunto la responsabilità della modifica dichiarando una successiva e ulteriore modifica della norma (tanto che, allo stato attuale della predisposizione della norma, non sarebbe prevista più alcuna soglia).

Nonostante ciò, la questione, di come sia stato possibile un meccanismo del genere, rimane aperta: a prescindere, e data per buona, l’assunzione di responsabilità di Renzi, non sarebbe comunque possibile che un qualche dirigente, sottosegretario, capo di gabinetto, ecc. (soprattutto se tali dirigenti hanno in passato collaborato con governi dello schieramento opposto) , possa inserire,nottetempo ed in un qualsivoglia provvedimento normativo, “regali” a questa o a quella parte politica?

E allora il meccanismo individuato dal Piano anticorruzione varato e presentato lo scorso mese di marzo può essere un primo passo per una più ampia riforma che passi attraverso un divieto di nomina per tecnici o dirigenti che abbiano già lavorato con Governi e/o amministrazioni precedenti (magari individuando anche per costoro – coloro che sono nominati politicamente e non quelli selezionati per concorso, per i quali anche, visto anche l’articolato del piano anticorruzione, varrebbe la regola della “rotazione”  – una sorta di regola al fine di espletare un solo mandato – come vorrebbe, ad esempio, una proposta presentata in Parlamento dal M5S per il mandato dei politici, che non dovrebbe superare le due legislature). Tale più ampia riforma, in realtà, è giù “predisposta” ed in discussione nelle competenti commissioni parlamentari: è la riforma della Pubblica Amministrazione, di cui è responsabile il dicastero di Marianna Madìa.

Intanto Roberto Garofoli, che a dicembre scorso (quando è successo il “fattaccio”) era al Gabinetto della Presidenza del Consiglio, è ora capo di Gabinetto del Ministero dell’Economia. E, guarda caso, è stato proprio uno dei presentatori del piano anticorruzione. Solo per ricordare, l’alto dirigente esperto di diritto (già magistrato amministrativo), ha collaborato, come consulente, con il Governo Berlusconi.

La riforma fiscale (con l’introduzione del reato di auto riciclaggio, con la nuova formulazione del falso in bilancio e soprattutto con il decreto fiscale ancora in fase di approvazione) ha chiamato direttamente in causa il MEF, nonché le commissioni economia dei due rami del Parlamento. Per quanto riguarda, in particolare, il decreto fiscale, ed in riferimento particolare al reato specifico di evasione fiscale, la discussione si è incentrata soprattutto sulla soglia di punibilità a fini penali della quota di reddito evasa (al di sopra del 3% con la previsione di sanzioni penali, al di sotto solo sanzioni amministrative) ed anche sul criterio di proporzionalità, ovvero quel criterio che servirebbe a distinguere tra i diversi soggetti fiscali (diverso essendo, ad esempio, il casi di una società per azioni rispetto ad una ditta individuale) e tra i diversi redditi (diverso essendo un reddito milionario da uno di poche migliaia di euro).

Nel 2014 sono stati recuperati circa 14 mld di euro – percentuale in aumento rispetto agli anni precedenti (+ 220% rispetto al 2006) – . Secondo un recente rapporto della Guardia di Finanza nello stesso anno sarebbero stati scoperti circa 8.000 evasori totali.

I recenti casi “luxleaks” e “swissleaks” hanno portato alla luce un sistema di elusione fiscale che ha coinvolto personaggi noti. Anche per far fronte a questo fenomeno a dicembre scorso è stata approvata la legge sulla “voluntary disclosure” che permette il rientro (dall’estero) dei capitali non dichiarati con una procedura conciliativa con l’Agenzia delle Entrate. In quest’ottica, infine, i recenti accordi del Governo italiano sia con il Lichtenstein che con la Svizzera (cd. “paradisi fiscali”)

 

Come e dove si sviluppa la corruzione in Italia : i casi di Milano, Venezia, Roma e Firenze.

Di Giampiero Calia – Aprile ’15 

 

ROMA – E’ presente nei richiami dei massimi esponenti delle istituzioni: il presidente della Corte dei Conti, Renato Squitieri, nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario ha ricordato come l’Italia sia uno dei Paesi a più alto tasso di corruzione e come il valore della corruzione in Italia sia valutato intorno ai 70 mld di euro; Sergio Mattarella nel suo primo discorso d’insediamento al Quirinale ha ribadito che la lotta alla corruzione sarà una delle priorità del suo mandato; ed i riferimenti alla corruzione, nello specifico del fenomeno in Italia, non sono mancati neanche nella recente relazione del presidente della Corte Costituzionale.

Intanto, il 24 marzo scorso, è stato presentato il piano anticorruzione per le società partecipate dallo Stato. Si tratta di una direttiva del Ministero dell’Economia congiunta alle “linee guida” predisposte dall’Autorità nazionale anticorruzione.

Tra le misure introdotte si segnalano, in particolare: quella che prevede una regola di “buona amministrazione”, ossia la rotazione dei dirigenti nelle suddette strutture (tale misura va ad integrare la più ampia c.d. Riforma della Pubblica Amministrazione, di cui è responsabile il dicastero di Marianna Madìa), quella per la “incandidabilità” (tale regola va invece ad integrare la c.d. Riforma della giustizia, in riferimento particolare alla legge “Severino”) e quella relativa alla previsione di un responsabile anticorruzione per ogni “partecipata”.

La prima misura risulta di stretta attualità in riferimento soprattutto al recente “caso Incalza”, a capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture prima di essere arrestato per l’indagine in corso a Firenze su “Grandi Opere” e relativi appalti.

In realtà la direttiva riguarda le società a partecipazione o a controllo pubblico (con regimi parzialmente diversi per quelle non quotate e quelle quotate – per cui è in corso una consultazione con la Consob -, per quelle partecipate e/o controllate dallo Stato e dagli Enti Pubblici territoriali – le linee guida ne hanno individuate circa 7000 -) ma la riforma più generale della Pubblica Amministrazione (in riferimento soprattutto ai recenti casi giudiziari) non potrà non tenere conto di tale impostazione.

Intanto è approdato in aula (dopo due anni di “tira e molla” in varie commissioni) il ddl anticorruzione che il presidente della camera Piero Grasso aveva già cominciato a predisporre prima della sua elezione a presidente della Camera  (quand’era procuratore nazionale antimafia): tra le misure previste in riferimento particolare ai reati della Pubblica Amministrazione vi sono: l’aumento delle pene e l’allungamento dei tempi di prescrizione.

Negli ultimi tempi le inchieste giudiziarie delle Procure di Firenze, Roma, Venezia e Milano sembrano aver portato alla ribalta la recrudescenza di alcuni fatti di presunta corruzione (sui quali si indaga per i reati di cui al titolo secondo del secondo libro del codice penale).

L’inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Firenze, che vede come indagati circa cinquanta persone( di queste quattro arrestati, tra cui Ercole Incalza, dirigente presso il Ministero delle infrastrutture, e Stefano Perotti, imprenditore nel settore edile), nasce dalle indagini sui lavori per lo snodo fiorentino dell’Alta Velocità. Da qui gli investigatori hanno scoperto un “presunto” sistema di spartizione di alcuni tra i più importanti progetti e lavori di Opere Pubbliche (spesso legate ai c.d. Grandi Eventi): appalti pubblici pilotati ed in gran parte “gonfiati (con alcuni importi dei lavori lievitati del 40%). Tra i lavori (alcuni dei quali condotti anche all’estero) sotto indagine: alcuni di quelli relativi all’Alta Velocità, all’autostrada Salerno – Reggio Calabria, alla costruzione del Padiglione Italia dell’Expo milanese.

L’inchiesta di Roma (denominata “mondo di mezzo” e ribattezzata dai media “mafia capitale”) dello scorso dicembre ha invece portato all’arresto, tra gli altri, di personaggi (come Massimo Carminati) già noti alle forze del’ordine e di rappresentanti di cooperative sociali (c.d. “di tipo b”), nel caso di specie la cooperativa “29 giugno”, e della Pubblica Amministrazione (in particolare del Comune di Roma). In questo caso, oltre a reati tipici del titolo secondo del libro secondo del Codice penale (reati contro la Pubblica amministrazione), è stato contestato anche quello di associazione a delinquere di stampo mafioso.

A Venezia, lo scorso giugno, per i lavori (appaltati, al costo di circa 5 mld, e cominciati circa dieci anni fa) del Mose (l’infrastruttura, gioiello d’ingegneria, che dovrebbe risolvere il problema dell’acqua alta) sono state arrestate 35 persone (ben 100 gli indagati), tra cui il sindaco della città, Giorgio Orsoni, e l’ex governatore della Regione Veneto, Giancarlo Galan. In questo caso, oltre ai reati di corruzione e concussione, sono stati contestati il riciclaggio, la frode fiscale ed il finanziamento illecito ai partiti.

Il mese prima a Milano è scoppiato il caso “Expo”, con l’accusa mossa a sette persone (tra cui Angelo Paris, manager pubblico di “infrastrutture lombarde” e dell’altra società partecipata “Expo 2015 spa”) dalla Procura milanese di aver “truccato” e affidato appalti dietro pagamento di tangenti. Indagati, arrestati (ed anche condannati lo scorso novembre in base a patteggiamento), personaggi come Primo Greganti o Stefano Frigerio, già noti alle cronache di “tangentopoli”.

E’ proprio in seguito all’inchiesta milanese che il governo ha nominato Raffaele Cantone (già magistrato presso la procura di Napoli e poi giudice in Corte di Cassazione) a capo dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), organismo istituito ad hoc dal governo Renzi per contrastare il “fenomeno” corruzione (funzione che l’ANAC svolge insieme agli altri Enti – previsti da Costituzione e leggi ordinarie –  preposti a vario e diverso titolo al controllo della spesa pubblica, come la Corte dei Conti o la società di vigilanza per gli appalti pubblici).

Per quanto riguarda il reato di falso in bilancio, le modifiche introdotte (e votate in entrambe le Aule del parlamento il 16 marzo scorso) e relative a soglie di punibilità (non più previste) e aumento delle pene (in particolare per le società quotate in borsa) vanno ad integrare il disegno di legge anticorruzione e fanno parte della più ampia riforma della Giustizia, così come l’introduzione nell’ordinamento del “nuovo reato” dell’autoriciclaggio.

Auto riciclaggio e falso in bilancio, reati tipici del diritto penale dell’economia, che incidono anche sulla questione dell’evasione (e dell’elusione) fiscale.

 

Il marketing territoriale (condito da conflitto d’interessi) di Nicola Benedetto.

Di Giampiero Calia – Marzo ’15

 

MATERA – Piccoli Berlusconi crescono: nonostante l’ex presidente del Consiglio non abbia più l’influenza politica del “ventennio” e la sua corte (almeno quella parlamentare) si sia ridotta ad una specie di circo Barnum, a livello locale ci sono personaggi che in quanto ad ambizione e volontà di affermare se stessi hanno tutte le caratteristiche del “Berlusconi pensiero”.

Come imprenditore, il pisticcese Nicola Benedetto, si è occupato inizialmente di produzione di accessori per serramenti, prima di acquistare un intero palazzo nobiliare nella zona antica della città di Matera, per farci un albergo cinque stelle; eletto consigliere, nelle amministrazioni locali, nella lista di “Italia dei valori”, ora è consigliere regionale per il partito di Centro Democratico.

Come il Silvio nazionale, Benedetto non si cura di eventuali conflitti d’interesse, soprattutto in riferimento ad una vicenda urbanistica della città di Matera che è ancora al vaglio della Giustizia Amministrativa: lo stesso, infatti, ha presentato alla cittadinanza, a tre mesi dalle elezioni comunali (rumors lo danno candidato sindaco), quello che è il risultato di una concessione edilizia (dichiarata illegittima dal TAR lo scorso aprile) che null’altro era se non un “do ut des” tra Amministrazione Comunale e impresa di costruzioni Cogem spa (l’amministrazione concedeva all’impresa il permesso a costruire su un suolo, tra l’altro, di dubbia edificabilità residenziale e l’impresa si impegnava a ristrutturare un vecchio Mulino cittadino).

Il nostro si è inserito in questa partita acquistando (da chi lo ha acquistato? si può acquistare un bene sottoposto a vincolo?) un bene sottoposto a tutela da parte della locale Soprintendenza.  Se poi l’acquirente è consigliere regionale e acquista la proprietà del mulino Alvino del comune di Matera, non si palesa conflitto d’interessi?

Questa vicenda, insomma, oltre a segnalare lo stato dell’arte della “speculazione edilizia” in quel di Matera dimostra anche la necessità di avere finalmente (a livello nazionale, come a quello locale) una legge su conflitto d’interessi che impedisca a ricopre cariche pubbliche (ed è anche imprenditore) di avvalersi della sua posizione per fare gli interessi della sua “azienda””.

 

Il petrolio in Basilicata, il governo Renzi ed il decreto “sblocca Italia”

Di Giampiero Calia – Febbraio ’15 

 

POTENZA – Sono stati definiti dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, “quattro comitatini”: sono le associazioni che in Basilicata si oppongono alle estrazioni petrolifere. “Ola ambientalista”, “No triv”, “Scanziamo le scorie”, “comitato Val Basento”, sono solo alcune delle sigle dell’universo ambientalista lucano. Un’opposizione, quella di tali “quattro comitatini”, che non è quella della val di Susa (per cui sono stati processati una ventina di attivisti con imputazioni aggravate da terrorismo), ma che è sempre stata presidio di legalità e tutela ambientale (storica la lotta popolare contro la costruzione del deposito unico per le scorie radioattive che fece ritirare un decreto del governo Berlusconi).

Che le opere pubbliche (soprattutto le c.d. “Grandi opere” e soprattutto se costruite in base a legislazione c.d. di “emergenza” ), ovvero tutti quei lavori che richiedono concessioni e/o autorizzazioni amministrative, o quelli per cui si procede per appalti, siano occasione e ricettacolo di speculazioni ormai è un dato acquisito: a dimostrarlo le recenti inchieste di Milano (per Expo ’15),  Venezia (per la costruzione del Mose), Roma (per “mafia capitale”), Torino( per le infiltrazioni mafiose nei lavori per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità in Val di Susa) e gli allarmi lanciati, a più riprese, dalla magistratura sia ordinaria che contabile.

A tale “assunto”, purtroppo, non fa eccezione la Basilicata: alcuni dei reati in cui si sostanziano tali speculazioni sono stati contestati  ad amministratori pubblici (condannato in appello, tra gli altri, un parlamentare lucano accusato di aver favorito un’impresa) e dirigenti d’azienda (in particolare, sia di Total che di ENI); si tratta per lo più di reati contro la pubblica amministrazione  in riferimento ad irregolarità nella gestione degli appalti per la costruzione del centro olii di Corleto Perticara; ovvero di reati ambientali, come un’inchiesta della magistratura sta accertando, per un presunto traffico illecito di rifiuti prodotti presso il centro olii di Viggiano.

Da ultimo (il 9 gennaio scorso) , è stato spiegato in una conferenza stampa, alcune di queste associazioni hanno  presentato un documento al ministero dell’ambiente dove si chiede di non procedere alla ricerca di idrocarburi nel mar ionio.

Le trivelle, in Basilicata, sono entrate in azione (nella val d’Agri) circa vent’anni fa alla luce di un accordo tra la Regione e le compagnie petrolifere interessate.

Nel 2011, presso il Ministero dello sviluppo economico, gli enti pubblici, direttamente interessati, e le imprese hanno firmato un successivo accordo (c.d. “memorandum”) per la rimodulazione della quota di fatturato realizzato in Basilicata – sotto forma di royalties (da erogare in parte tramite la misura di un “bonus” idrocarburi per i patentati lucani) – e per la ridefinizione degli accordi del 98 – ossia la percentuale di suolo perforabile, la percentuale di greggio da estrarre, gli oneri a carico delle imprese, i livelli occupazionali, ecc. –

L’industria del petrolio –considerando entrambe le compagnie, ENI e Total – in Basilicata realizza un fatturato di circa 200/300 milioni l’anno, con un ritorno (per il territorio regionale) in termini di royalty (quelle stabilite nei diversi accordi tra le parti) di una percentuale sotto il 10%.

Questa questione si lega al dibattito sulle riforme costituzionali, ossia in particolare quella del titolo V della Costituzione (riforma approdata in parlamento ma ancora in discussione al momento in cui si scrive) e segnatamente la competenza energetica dello Stato in materia. Secondo l’attuale formulazione della legge è la regione a detenere maggiori competenze (secondo i  criteri costituzionali della ripartizione) in materia; con la riforma, in buona sostanza, si vorrebbe spostarle verso l’apparato centrale.

Gli accordi tra la Regione Basilicata ed il Governo

Il governatore di Basilicata, Marcello Pittela, durante gli incontri (avvenuti a marzo scorso) per discutere circa lo spostamento delle competenze ha firmato il testo (anche se verbalmente ne ha preso le distanze) che poi è stato trasformato in disegno di legge.

Durante questi incontri, e nella proposta che ne è scaturita, sono stati firmati gli accordi relativi alle cd. “royalties” (queste verrebbero versate non più alle Regioni, ma allo Stato nella misura del 50% della produzione su suolo italiano), alla moratoria sulle trivellazioni in mare; altri punti in discussione sono stati: il rispetto dei limiti riguardo allo sfruttamento del sottosuolo in linea con gli accordi del ’98 (non più di 200000 barili estratti al giorno), ricerca e trivellazioni su non più del 20% del territorio regionale.

La legge di recepimento (legge di stabilità)

La legge di stabilità (Finanziaria 2015) è stata approvata lo scorso dicembre con l’emendamento (proposto dalla Regione Basilicata) all’articolo 38 del decreto “sblocca Italia” di far precedere alla decisione sul Piano Ambientale (in cui si determina anche il limite delle estrazioni sul territorio) il previo parere della Conferenza Unificata.

Il decreto bonus carburanti

I ministri Guidi e Padoan hanno firmato, nell’agosto scorso, il decreto “bonus carburanti” (misura che consente ai cittadini delle regioni in cui si estrae petrolio e gas di partecipare direttamente ai benefici economici derivanti dalle estrazioni) che sblocca due annualità di benefici economici  (per un totale di oltre 170 milioni di euro).

La questione del bonus idrocarburi, dopo essere stata al centro del dibattito e delle attenzioni locali, è stata oggetto di interessamento della magistratura amministrativa (che con sentenza aveva anche  disposto la sospensione della misura); la misura del “Bonus” successivamente è stata riconsiderata in sede di trattazione tra enti pubblici e imprese.

Per quanto riguarda, infine, il rapporto con il territorio delle imprese operanti nel settore del petrolio, vi è da dire che queste hanno sviluppato “relazioni” che hanno consentito loro di diventare soggetti della vita pubblica regionale (la Eni in particolare è molto attiva nel campo del cine-turismo).

Nei mesi passati si è parlato (e lo ha fatto in particolare l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi; è stato altresì  scritto sul “Wall street journal”) di aumento delle estrazioni di petrolio (anche nella “El dorado” nostrana) come uno dei possibili rimedi alla crisi economica.

 

Il decreto ministeriale sulla donazione del sangue ed il trattamento discriminatorio

Di Giampiero Calia – Gennaio ’15 

 

ROMA – E’ del marzo 2005 il decreto del ministero della sanità (a capo del dicastero era Girolamo Sirchia) che, recependo due direttive europee (quella del Parlamento europeo del 1998 e quella della Commissione del 2004), regola l’attività dei dipartimenti sanitari pubblici per le emotrasfusioni.

Premesso che tale decreto non ha carattere di generalità, ma che regola (in maniera neanche vincolante, data la sostanziale autonomia professionale dei medici del servizio sanitario) l’attività interna dei dipartimenti in materia di donazione del sangue (in particolare per quanto riguarda gli obblighi informativi), vi è, in particolare, un allegato che individua talune “categorie” di persone “escluse in maniera permanente dalla donazione”, non indicando i criteri scientifici alla base di tale esclusione.

Il sospetto che si tratti di una “norma” ( pur se amministrativa e non legislativa) che intende solo stigmatizzare certi stili di vita (pur in un’ottica di prevenzione, promuovendone altri), ponendo un criterio “morale” a base di un’attività puramente medica, è più che fondato: diversi, infatti, i ricorsi presentati da donatori esclusi, soprattutto a livello internazionale presso la Corte Europea di Giustizia.

E’ da questo punto di vista che la suddetta norma si porrebbe in contrasto sia con l’art. 3 della Costituzione che con l’art. 8 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).

Nella vicina Puglia qualche tempo fa è stato un cittadino omosessuale a sollevare il problema, prima in sede giurisdizionale e poi sulla stampa: a questi gli era stato opposto rifiuto alla sua donazione spontanea perché (a parere dei medici del nosocomio pugliese) egli rientrava in una delle categorie di esclusione (quella dei comportamenti sessuali a rischio).

Un medico addetto al dipartimento di emotrasfusione dell’ospedale Madonne delle Grazie di Matera al riguardo si è giustificato dicendo che “la ratio del rifiuto consisterebbe nella possibilità che una qualche malattia, allo stato sconosciuta, possa manifestarsi chissà quanto tempo dopo dal comportamento”.

 

“L’ultima volta di Moana”, con “protagonisti” nostrani.

Di Giampiero Calia – Dicembre ’14

 

MATERA – Con un’operazione di marketing “lanciata” a febbraio scorso sul programma televisivo “Lucignolo” di Italia 1, è stato presentato il film “L’ultima volta di Moana” (con la pornostar Moana Pozzi), con una proiezione privata anche in una delle sale cinematografiche della città di Matera.

“Fino al ’93 – ’94 – ci spiega il gestore di tale sala – è stato possibile proiettare con una certa facilità film pornografici: in quel periodo, infatti, ci venne richiesto che tali films avessero il visto di censura.”

La c.d. industria del porno da allora,infatti, trovò nuova linfa dalla distribuzione degli home video; fino all’avvento di internet che, pur consentendo una fruizione più diretta del porno, ha scardinato i suoi più tradizionali sistemi produttivi e distributivi.

La pornostar è stata un’icona dell’immaginario erotico italiano; ed alla sua morte (avvenuta nel ’94) diversi sono stati i tentativi di accaparrarsi i benefici (in termini di ritorno economico e di immagine) derivanti da tale status. L’ultimo tentativo in ordine di tempo è rappresentato proprio da questo film.

In alcune scene (a detta di chi le ha viste) l’attrice appare  già segnata dalla malattia. Tali scene, dunque, sarebbero state girate nel periodo in cui l’attrice era già malata della patologia di cui poi è deceduta.

La pellicola con queste scene (stando a quanto detto nella trasmissione su citata) sarebbe stata trovata in un cinema di Brescia.

Dopodicchè sarebbe partita un’operazione che, a ben vedere, non è solo di marketing, ma anche di “ritocco” dei contenuti (già dalla frase infatti si intuisce che “L’ultima volta di Moana” non poteva essere il titolo originale; inoltre è impensabile che per tutta la durata del film l’attrice appaia in uno stato di salute di decadenza fisica dato che tali film infatti si basano proprio sulla prestanza fisica)e soprattutto di accaparramento di “diritti” (considerato i diversi e non chiari passaggi della “proprietà” di tali scene).

Da quest’ultimo punto di vista, infatti, produttore sarebbe (stando a quanto dichiarato dal gestore della sala cinematografica) un tale (e non meglio precisato) signor Matera di Gravina (“guarda caso” deceduto); laddove invece della distribuzione si sarebbe occupato un avvocato di Barletta (il quale possederebbe la pellicola in 35 mm originale) ed una casa di produzione materana (tramite riversaggio su dvd e vendita nelle edicole locali).

 

“Film by film” in Basilicata.

Di Giampiero Calia – Novembre ’14

 

MATERA – In un’intervista su Repubblica.it, il direttore della Lucana film commission, Paride Leporace, ha parlato delle produzioni cinematografiche che, da quando esiste la struttura (una fondazione, quindi ente di diritto privato – c.d. ente strumentale – finanziato con capitale pubblico, in maggior parte della Regione Basilicata), hanno realizzato (negli ultimi due anni) parte dei loro films in Basilicata.

Ma vediamo quali sono stati questi films, quali i loro meccanismi produttivi e quale il ruolo della Lucana film commission (o comunque degli enti pubblici territoriali), anche ai fini dello sviluppo di un’industria cinematografica locale.

Nella primavera del 2013 è stato fatto il casting a Craco Peschiera (Mt) di “Montedoro” (lungometraggio del regista potentino Antonello Faretta), ammesso, lo scorso luglio, ad un finanziamento pubblico della Regione Basilicata, come produzione “Noeltan film”. Nello stesso periodo, l’attore (per l’occasione anche produttore) Lorenzo Flaherty, noto al grande pubblico televisivo, è stato in Basilicata per girare un film dal titolo “Il ragioniere della mafia”. Di tale produzione, però, sé n’è occupata la trasmissione televisiva de “Le iene” per rivendicazioni fatte da alcune “maestranze” per pagamenti non ricevuti. “Una domenica notte”, lungometraggio del regista lucano Giuseppe Marco Albano, è stato girato nello stesso periodo e presentato in alcuni festival locali. Successivamente sono stati realizzati – anche – in Lucania i film: “Tre tocchi” (di Marco Risi, presentato all’ultimo festival di Roma), “Il pasticcere” (con Antonio Catania), “Biagio” (di Pasquale Scimeca) e “La grande seduzione” (remake di un film canadese del 2003, prodotto da Cattleya ed ammesso ad un finanziamento di 140.000,00€ da parte della Regione Basilicata).

Tra settembre e ottobre scorsi, invece, si sono concentrate nella sola città di Matera ben tre produzioni cinematografiche: “Italian race” (prodotto da Fandango, con l’attore Stefano Accorsi, finanziato da un bando della regione Basilicata del 2013 – lo stesso delle produzioni “Noeltan” e “Cattleya”); “The Christ lord of Egypt” (ulteriore tassello di un “filone” – del c.d. cinema “religioso” – che, per quanto riguarda il meccanismo della coproduzione internazionale a Matera – da “The passion” in poi -, ruota su un meccanismo che poggia su ben determinati soggetti – dell’amministrazione pubblica locale e di personaggi e aziende romani, dell’ambiente di Cinecittà –) e “Marry me” (una produzione cinese che nasce da una collaborazione con l’ICFA – Italy China Friendship Association.). In tali ultimi casi si è trattato di una vera e propria “toccata e fuga”, dato che le rispettive troupe si sono fermate in città, per le riprese, solo due – tre giorni (lontani i tempi in cui, come per le riprese del film “The Passion”, la troupe rimaneva in città anche per due mesi).

Delle  produzioni su citate, due solo sono di operatori cinematografici “professionali” della Basilicata.

Poi ci sono i cortometraggi, che però, pur se di prestigio, non sviluppano un’industria cinematografica come nel caso dei lunghi: è il caso, ad esempio, di “Sassiwood” (premiato con il “Globo d’oro” 2014 per il miglior cortometraggio), o de “La riva” (ammesso ad un finanziamento pubblico per circa 20.000,00€).

La regione Basilicata, con il bando dell’agosto 2013, ha finanziato progetti per circa 1 milione e 800 mila € (ed altri, è stato annunciato, ne saranno stanziati). Ma in termini di mercato cinematografico (ossia quello tradizionale che vive di distribuzione – “home video”, sale cinematografiche e diritti televisivi -) e di sviluppo economico del settore industriale lucano del cinema, si può parlare di impulso o incremento?

 

La visita del vice ministro dell’interno, Filippo Bubbico, a Foggia e le operazioni “Alias” e “Oscar”.

Di Giampiero Calia – Ottobre ’14

FOGGIA – Il vice ministro dell’interno, Filippo Bubbico, dopo la visita della commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso e sulle altre associazioni criminali, si è recato nei giorni scorsi (il 6 ottobre) a Foggia, dove è stato inaugurato il primo centro anti racket della città. L’associazione (prima di questo genere nella città daunia), è dedicata a Michele Panunzio, l’imprenditore pugliese ucciso negli anni ’90 per essersi ribellato ai suoi estortori.

Interessata anche dal fenomeno mafioso (in particolare negli anni ’90 si parlò di “società foggiana” come una costola della sacra corona unita), Foggia risulta  una città ad alta intensità di reati (oltre a quelli di estorsione e ad esso collegati, numerosi sono i casi di omicidio e/o di lupara bianca). E questo era già noto prima delle visite della commissione e del viceministro. Tanto che c’è chi ha detto in questi giorni che “non si aspetti il morto eccellente per portare all’attenzione nazionale il problema.”

Ciò nonostante, la città pugliese non è sede della DDA (infatti nella “geografia” giudiziaria pugliese, la provincia di Foggia è “coperta” dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari; mentre quelle di Taranto e Brindisi dalla DDA di Lecce). Questo anche è stato fatto notare al vice ministro in occasione della sua visita.

Da registrare (non sappiamo se per pura coincidenza o per precisa strategia della direzione nazionale antimafia) che, contemporaneamente alla visita di Filippo Bubbico nel capoluogo dauno, a Lecce ed a Potenza (entrambi sedi di Direzione distrettuale antimafia) scattavano due operazioni di polizia che, per quanto riguarda il territorio lucano, hanno interessato due dei nomi più noti legati al fenomeno della criminalità in Lucania: Cassotta, nel potentino, e Scarcia, nel materano.

Salvatore Scarcia, a cui era stata revocata la misura cautelare di detenzione in carcere da circa due anni (è del 2012 la sentenza della Cassazione che, in riferimento al processo “Revival” istruito a Matera, ha annullato le precedenti sentenze di I grado e di appello – con quest’ultima in particolare si comminava la pena di ventuno anni per Scarcia, nonostante il giudice non abbia ravvisato i requisiti del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso), è stato interessato infatti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Lecce, nell’ambito dell’operazione “Alias”, coordinata dalla DDA salentina, che ha portato (lunedi 6 ottobre) all’arresto di circa cinquanta persone (accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, di associazione a delinquere “semplice”, di traffico di sostanze stupefacenti, di estorsione, di omicidio), tra cui due esponenti di spicco della criminalità tarantina.

Antonio Cassotta, figlio di un boss morto in un agguato e Giuseppe Caggiano, figliastro di un altro attualmente detenuto per il reato di cui al 416 bis, sono invece stati arrestati (martedì 7 ottobre) nell’ambito dell’operazione “Oscar” (coordinata dalla Dda di Potenza ed eseguita dalla Questura di Potenza e dal Commissariato di Melfi): una quindicina i soggetti coinvolti (in particolare esponenti della malavita di Melfi e di Pignola) per il reato di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il nome dei Cassotta è legato in particolare al processo “Basilischi”, in cui, tra l’altro, sono emersi i rapporti dei “gruppi malavitosi locali” con la ‘ndrangheta calabrese

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La nuova figura dell’autoriciclaggio

Di Giampiero Calia – Ottobre ’14 

ROMA – L’attuale Governo, sin dal suo insediamento (nel febbraio scorso), aveva previsto l’introduzione dell’autoriciclaggio, quale autonoma figura di reato, nell’ambito del progetto (presentato in Parlamento lo scorso 29 agosto) di riforma della Giustizia.

In Parlamento (segnatamente in Commissione Finanza a Montecitorio) si discute in questi giorni della valenza (in termini di punibilità e sanzioni) da dare alla fattispecie.

Innanzitutto l’autoriciclaggio è stato pensato per contrastare fenomeni (o meglio fatti esistenti nel mondo giuridico non ancora disciplinati penalmente) altrimenti non punibili, legati a reati di criminalità organizzata ed a quelli della Pubblica Amministrazione.

Un ingente quantitativo di denaro di provenienza illecita (ovvero “il frutto di delitti non colposi puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni” secondo la formulazione del ddl criminalità  predisposto dal Ministero della Giustizia) impiegato in attività economiche e finanziarie che (come abbiamo visto per l’economia sommersa rappresentata dal commercio illegale di stupefacenti e dalla prostituzione) in termini finanziari contribuisce all’ammontare del Pil.

Si tratta insomma, come per l’evasione fiscale o il falso in bilancio (reato depenalizzato nel 2001 dal governo Berlusconi e reintrodotto nella su citata riforma della Giustizia), di fattispecie che rientrano nell’ambito del diritto penale dell’economia.

Rispetto all’ipotesi di auto riciclaggio, insomma, si discute di “veicolarlo” legislativamente tramite il disegno di legge (già incardinato a Montecitorio ed in attesa di un ulteriore emendamento da parte del Governo) sul rientro dei capitali dall’estero e non già tramite il ddl criminalità predisposto dal Ministero competente ma non ancora presentato per l’iter legislativo.

Disciplinare queste fattispecie consentirebbe (ed in ciò anche si intravede la mano del procuratore Nicola Gratteri, esperto di antimafia, consulente del Presidente del Consiglio Renzi) l’utilizzo di misure quali la confisca o il sequestro di tali ingenti somme, altrimenti destinate al sommerso.

Insomma nella sua formulazione definitiva, tale nuova fattispecie sarebbe circoscritta a quelle categorie di reati-presupposto che possono effettivamente inquinare il mercato: i reati di criminalità organizzata, quelli connessi ai grandi traffici di droga, la grande contraffazione, la corruzione e la stessa evasione fiscale (quando assuma una dimensione tale da compromettere effettivamente la fisiologia del mercato legale).

 

Le “mani in pasta” della Curia materana

Di Giampiero Calia – Settembre ’14

 

MATERA – In quello che ora è l’ingresso di un hotel a quattro stelle (anche se un’insegna avvisa che si tratta di bar/cafè), proprio di fianco ad una delle chiese più importanti della città di Matera, ci abitava una coppia che alloggiava a titolo di “solidarietà”, coppia a cui è poi stato assegnato un alloggio popolare.

Tutto il comprensorio (adiacente e posteriore alla chiesa) in epoca precedente era un unico complesso conventuale di proprietà della Curia locale, poi “smantellato” a partire dagli anni ’30 per la costruzione della sede locale della Banca d’Italia.  Sul lato sinistro della chiesa un ritrovo sociale, un po’ più indietro le sedi delle associazioni Avis e Fidas, quella dei “cavalieri della Bruna”. Solo in epoca più recente sono apparsi prima un bar e poi un ristorante, contemporaneamente all’albergo che inizialmente occupava solo il piano superiore.

Subito dopo che i due ospiti si sono trasferiti, in tempi record (qualche mese), è apparso l’ingresso (con tanto di insegna e luci) di un hotel che già possedeva i locali attigui (la società proprietaria dell’albergo in origine era costituita da un ex consigliere comunale e da un’attuale assessore). Insomma business in luogo dalla solidarietà, con il silenzio e il placet di parrocchia, diocesi e Soprintendenza.

Nella locale diocesi (di cui è vescovo monsignor Salvatore Ligorio), ed in particolare nella parrocchia della zona della cattedrale (il cui parroco è don Vincenzo Di Lecce, lo stesso della chiesa di San Francesco d’Assisi), inoltre, rimane aperta la questione  dei lavori “infiniti” di quest’ultimo decennio del Duomo di Matera (edificato nel XIII  in stile romanico-pugliese ). Una questione che comincia nel 2004 con il cedimento dell’intonaco del tetto di una navata laterale. Da allora si sono susseguiti una serie di lavori che hanno visto anche il rifacimento del pavimento, degli esterni (in particolare i portoni, soprattutto quello dell’entrata principale) ed il restauro delle opere d’arte presenti all’interno (compreso l’altare maggiore). Chiusa ai fedeli ormai da anni, a coordinare i lavori di restauro la locale Soprintendenza ai beni architettonici (in particolare l’ingegner Antonio Persia).

Nei mesi scorsi è stato presentato (con notevole risalto dato dalla stampa locale) un volume in cui sono descritti i diversi tipi di interventi archeologici (effettuati e da effettuare). I lavori sono in una fase di stallo (nonostante il vescovo abbia più volte in questi anni dato rassicurazioni circa la riapertura della chiesa, aveva anche annunciato un imminente comunicato stampo di cui però non si ha traccia) perché in attesa di una ulteriore tranche di soldi pubblici (quelli dei fondi Fesr).

Intanto i fedeli sono stati “dirottati” verso le vicine chiese di San Francesco d’Assisi e di Santa Chiara ed a turisti e visitatori è interdetto l’ingresso. Non è certo la prima volta che chiese di pregio storico artistico (ma anche sedi parrocchiali e di interesse turistico) sono interessate da lavori di restauro. Addirittura il Duomo di Milano, ma anche altre e più importanti chiese e Basiliche del patrimonio storico e artistico italiano, è periodicamente interessato da continui lavori di conservazione (ma non per questo l’ingresso risulta interdetto). La Basilica superiore di San Francesco ad Assisi è stata praticamente ricostruita nel giro di qualche anno dopo il terremoto del ‘97.

Il complesso monastico di sant’Agostino a Matera, oltre ad essere una delle centinaia di “strutture” di culto cristiano presenti nella città dei Sassi, è sede anche della Soprintendenza ai beni storici e architettonici. Ebbene, la “chiesa di Sant’Agostino” è divenuta “ultimamente” nota (con articoli apparsi anche su testate nazionali come “L’espresso” ) per motivi meno nobili e decisamente più prosaici: la costruzione di un parcheggio per i dipendenti della locale Soprintendenza, la quale ha trovato sede proprio in alcuni locali del suddetto complesso.

La questione si è posta all’attenzione dell’opinione pubblica grazie all’interessamento di associazioni locali (per tutte Legambiente e Sassikult) soprattutto per la palese “contraddizione” della situazione: una vera e propria storia di “malaburocrazia all’italiana”, con contorno di “conflitto d’interesse”. I  lavori per la costruzione di questo “scempio” si sono prima bloccati, appena dopo l’inizio dei lavori (2006), per intervento del Tar Basilicata e poi ripresi nel 2013 per intervento del Consiglio di Stato, non senza aver provocato però evidenti e visibili “danni”: un intero giardino “ipogeo” violentato proprio dall’ente preposto alla valorizzazione e alla cura dei beni architettonici e ambientali.

In tutti e tre i casi sopra evidenziati è palese il silenzio e/o il consenso dello Curia (responsabile dei luoghi di culto e/o proprietaria dei locali adiacenti o che insistono su tali luoghi) a tale stato dei fatti, di cui sono interessati a vario titolo imprese private (società alberghiere, imprese edili) e Pubbliche Amministrazioni (Comune, Soprintendenza, ecc.).

 

Matera 2019: con la cultura chi mangia?

Negli anni’80 fu un’attrice greca, eletta al Parlamento europeo,a proporre di avere, periodicamente, una capitale europea della cultura.

Di Giampiero Calia – Agosto 2014

 

MATERA – L’idea di candidare Matera a capitale europea della cultura è venuta ad gruppo di associazioni nei primi mesi del 2009. Si è trattato in quella fase di compilare e spedire una semplice domanda on line.Il comitato per la candidatura di Matera a “capitale europea della cultura 2019” si è formato solo in seguito (lo statuto è del giugno 2011) ed è costituito per lo più da istituzioni pubbliche.

I primi stanziamenti economici sono stati previsti dalla Regione Basilicata nella Legge di bilancio del dicembre 2011.

“Nel 2013  in base ad un accordo quadro tra Regione e comune di Matera – ha detto, durante un consiglio comunale, l’imprenditore Angelo Tosto – sono stati stanziati 1.500.000€ ed è previsto un compenso per il suo direttore generale di 85.000 € l’anno per venti ore di lavoro settimanali”.

Nel frattempo, dei soldi stanziati circa 300.000,00€ sono stati utilizzati per l’allestimento di una mostra “multimediale” e per l’attività di comunicazione affidata ad un’emittente televisiva locale (di cui, tra l’altro, è proprietario l’imprenditore su citato).

Nel caso specifico di Matera 2019 un ragionamento circa investimenti e ritorno economico per il territorio va fatto per un progetto di media- lunga scadenza.

Ma, a distanza di nove mesi dalla prima fase della selezione, siamo già in grado di osservare il fenomeno e trarre alcune primissime conclusioni rispetto ai vantaggi (se ce ne sono e soprattutto in termini di sviluppo economico) per il territorio. In tal caso allora può analizzarsi (è ancora presto per farlo con numeri e percentuali, potendola per il momento solo monitorare) la situazione in termini di ritorno diretto e indiretto, di indotto economico, ecc.: per quanto riguarda il settore specifico vi è da dire che non si sono registrati cambiamenti significativi, tant’è che a beneficiarne per il momento sono stati solo singoli e sporadici soggetti (per il progetto di una residenza, ad esempio, o per l’affidamento di incarichi, nel caso specifico organizzativi e di grafica), mentre altri risultano addirittura penalizzati (tant’è che un fotografo professionista materano ultimamente si è lamentato che per un progetto fotografico gli siano stati chiesti addirittura dei soldi); diverso,invece, appare l’impatto mediatico prodotto dalla iniziativa della candidatura rispetto al settore del turismo.

Quale sviluppo “sostenibile” in Basilicata? I casi FCA ed Eni-Total.

Di Giampiero Calia – Luglio ’14

 

MATERA – Petrolio e automobili. Sono i prodotti dei colossi economico-industriali presenti in Basilicata. Due comparti produttivi che rappresentano una percentuale di PIL regionale a due cifre, un fatturato annuo di centinaia di milioni di euro ed un numero di dipendenti (considerando anche gli indotti) di alcune migliaia di unità (considerando anche le centinaia di lavoratori in mobilità).

Quale il futuro dei due comparti alla luce di un “modello di sviluppo sostenibile”  e dei mutamenti in atto a livello globale (crisi finanziaria, risparmio energetico, inquinamento, ecc.)? Di seguito il quadro, quanto più esaustivo, della situazione attuale.

Petrolio

Per prime, in Basilicata, le trivelle sono entrate in azione nella val d’Agri, al confine con la Calabria, circa vent’anni fa alla luce di un accordo Regione ed imprese del 1998.

Nel 2011, presso il Ministero dello sviluppo economico, gli enti pubblici, direttamente interessati, e le imprese hanno firmato un successivo accordo (c.d. “memorandum”) per la rimodulazione della quota di fatturato realizzato in Basilicata – sotto forma di royalties da erogare in parte tramite la misura di un “bonus” idrocarburi per i patentati lucani – e per la ridefinizione degli accordi del 98 – ossia la percentuale di suolo perforabile, la percentuale di greggio da estrarre, gli oneri a carico delle imprese, i livelli occupazionali, ecc. –

La questione del bonus idrocarburi, dopo essere stata al centro del dibattito e delle attenzioni locali, è stata oggetto di interessamento della magistratura amministrativa (che con sentenza aveva anche  disposto la sospensione della misura); la misura del “Bonus” successivamente è stata riconsiderata in sede di trattazione tra enti pubblici e imprese.

Per quanto riguarda il rapporto con il territorio delle imprese operanti nel settore del petrolio, vi è da dire che queste hanno sviluppato “relazioni” che hanno consentito loro di diventare soggetti della vita pubblica regionale (la Eni in particolare è molto attiva nel campo del cine-turismo).

Nei mesi scorsi si è tornato a parlare (e lo ha fatto in particolare l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi; è stato altresì  scritto sul “Wall street journal”) di aumento delle estrazioni di petrolio (anche nella “El dorado” nostrana) come uno dei possibili rimedi alla crisi economica.

Questa questione, squisitamente economica, si lega in Italia al dibattito sulle riforme costituzionali, ossia in particolare quella del titolo V della Costituzione (riforma approdata in parlamento ma ancora in discussione al momento in cui si scrive) e segnatamente la competenza energetica dello Stato in materia. Secondo l’attuale formulazione della legge è la regione a detenere maggiori competenze (secondo i  criteri costituzionali della ripartizione) in materia; con la riforma, in buona sostanza, si vorrebbe spostarle verso l’apparato centrale.

Il governatore di Basilicata, Marcello Pittela, durante gli incontri per discutere circa lo spostamento delle competenze ha firmato il testo che poi è stato trasformato in disegno di legge (anche se verbalmente ne ha preso le distanze).

Durante questi incontri, e nella proposta che ne è scaturita, sono stati firmati gli accordi relativi alle cd. “royalties” (queste verrebbero versate non più alle Regioni, ma allo Stato nella misura del 50% della produzione su suolo italiano), alla moratoria sulle trivellazioni in mare; altri punti in discussione sono stai: il rispetto dei limiti riguardo allo sfruttamento del sottosuolo in linea con gli accordi del ’98 (non più di 200000 barili estratti al giorno), ricerca e trivellazioni su non più del 20% del territorio regionale.

Nel frattempo comunità territoriali e associazioni ambientaliste (in particolare nel comune lucano di Marsico Nuovo a marzo scorso) hanno contestato la politica energetica regionale; laddove invece, ad esempio, il comune di Viggiano ha emanato un bando per assunzioni a tempo indeterminato per residenti nei comuni della val d’Agri finanziato proprio con le royalties.

La magistratura (contabile ed ordinaria) si è occupata a più riprese delle multinazionali del petrolio in terra di Basilicata. Da ultimo la Corte dei Conti (con adunanza del 10 aprile scorso) ha quantificato in circa 1 miliardo di euro l’ammontare delle royalties versate alla Regione dal 2001 al 2012; di questi, circa 100 milioni di euro sono andati al comune di Viggiano. Il fascicolo della magistratura contabile era stato aperto circa tre anni prima in concomitanza con l’annuncio della emissione dei c.d. “bonus idrocarburi”.

L’industria del petrolio –considerando entrambe le compagnie, ENI e Total – in Basilicata realizza un fatturato di 200-300 milioni l’anno, con un ritorno (per il territorio regionale) in termini di royalty (quelle stabilite nei diversi accordi tra le parti) di una percentuale sotto il 10%. Le unità lavorative, quelle alle dirette dipendenze delle due maggiori compagnie petrolifere operanti in Basilicata, non sono più di trecento; in termini di indotto “con la creazione di imprese non tutte sorte a seguito dell’attività estrattiva nell’area di localizzazione del centro Olii di Viggiano – COVA –“[1] per un totale di addetti dell’indotto che solo per la parte Eni è di circa tre-quattrocento.

Due, invece, i fascicoli ancora aperti della magistratura penale: uno riguarda reati contro la pubblica amministrazione (imputato, tra gli altri, un parlamentare lucano accusato di aver favorito un’impresa) in riferimento ad irregolarità nella gestione degli appalti per la costruzione del centro olii di Corleto Perticara; l’altro un presunto traffico illecito di rifiuti prodotti presso il centro olii di Viggiano (indagati, tra gli altri, alcuni dei vertici aziendali Eni).

Automobili

L’industria dell’automobile, in Basilicata, è principalmente quella dello stabilimento Fiat (e dell’indotto ad esso collegato) in località san Nicola di Melfi.

Anche in questo caso, come per il petrolio, lo stabilimento è stato “impiantato” negli anni’90, quando la strategia industriale del gruppo Fiat tendeva alla diversificazione degli investimenti ed al mercato europeo.

La produzione nello stabilimento lucano è stata sospesa  all’inizio di dicembre dello scorso anno in concomitanza dell’acquisizione di Chrysler da parte di Fiat. Il gruppo nato dalla fusione ha preso il nome di FCA, con sede legale in Olanda e sede fiscale in Gran Bretagna. In seguito a quest’operazione “finanziaria” (con chiare ripercussioni sull’economia reale) è stato presentato, nel marzo scorso,  il bilancio del 2013 del gruppo FIAT (utili per circa 2 mld €; produzione prevista fino al 2018: 7 milioni di vetture) del gruppo Fiat; e poi, a Detroit,  nel maggio 2014, il “nuovo” piano industriale (investimenti previsti per  50 miliardi, otto nuovi modelli Alfa Romeo, ecc.).

A marzo scorso, invece, sono stati presentati a Ginevra i nuovi modelli “Renegade” e cinquecento x (quelli della produzione melfese).

Intanto però, a livello locale, le maggiori preoccupazioni si registrano per quanto riguarda l’occupazione: a dicembre di quest’anno, infatti, scadrà la cassa integrazione per i dipendenti dello stabilimento melfese interessati, che si ritroveranno dunque senza le tutele proprie dell’ammortizzatore sociale.

A gennaio di quest’anno, inoltre, era ancora attiva, in campo sindacale,  la c.d. “vertenza” Irma: cassa integrazione straordinaria per i dipendenti – circa 120 – dell’azienda lucana per mancanza di commesse nonostante l’annunciata ripresa.

In questo contesto si inserisce dunque il “nuovo” piano industriale della FCA che ha previsto, per quanto riguarda lo stabilimento lucano, la ripresa della produzione con due linee di produzione (per altrettanti modelli di autovetture: suv e mini suv) per tutto il 2014.

Sedici aziende dell’indotto Fiat lucano hanno annunciato, in concomitanza del’annuncio del nuovo piano industriale, l’uscita dei dipendenti (per un totale di mille addetti) dal CCNL, svincolandosi in tal modo dalla contrattazione sindacale e garantendo flessibilità al comparto industriale.

La ripresa della produzione, insomma, è imminente (secondo quelli che sono stati gli annunci, a partire proprio da questo mese). Ripresa che dovrebbe riassorbire (secondo le stesse rassicurazioni date dai vertici Fiat) tutto il personale.

[1] “secondo rapporto Eni – Val d’Agri” a cura di CGIL e FIOM

 

Il debito pubblico italiano: da “fardello” ad opportunità

Di Giampiero Calia – Giugno ’14

 

ROMA – Il debito pubblico, tecnicamente, è una posta passiva del bilancio della Stato (che, attualmente, in Italia ammonta ad oltre 2100 mld di euro). Più precisamente (e qui la definizione si avvicina a quella data dai manuali di scienze delle finanze) è il valore di obbligazioni e di altri titoli di debito dello Stato, che se non remunerato diventa passivo e si accumula. La cifra riportata e che tanto fa discutere in Italia ed in Europa è un “surplus passivo” che si è accumulato negli anni. In Italia tale posta di bilancio è cominciata a crescere agli inizi degli anni ’80 in seguito alla separazione tra Tesoro e Banca d’Italia.

Da un punto di vista del diritto interno esistono organismi (costituzionali o creati legislativamente) deputati , direttamente o indirettamente, al controllo del debito pubblico. I più importanti sono la “Direzione II – debito pubblico – del Ministero Economia e Finanze” e la Corte dei Conti. Il primo fa parte del Dipartimento del Tesoro ed è ripartito in dodici uffici: ha principalmente la funzione di emissione e gestione del debito pubblico interno ed estero. E poi c’è la Corte dei Conti, organo costituzionale che, nell’esercizio della sua funzione di giurisdizione speciale, si occupa del bilancio dello Stato e delle altre Pubbliche Amministrazioni.

E allora se ci sono degli organismi deputati a che il debito pubblico non crei un disavanzo eccessivo, come mai l’Italia è uno dei paesi Ue con il più alto debito? Il primo organismo è di tipo amministrativo e quindi, in realtà, è lo stesso soggetto pubblico che emette il debito che, di conseguenza, sarebbe, allo stesso tempo, controllore e controllato; il secondo, invece, in virtù della separazione dei poteri dello Stato, è quello che ha i maggiori poteri di controllo. Il problema è che l’azione della Corte dei Conti manca di efficacia in questo settore sia perché il debito pubblico è collocato su mercati finanziari privati ed anche perché la Pubblica Amministrazione non ha un obbligo giuridico diretto rispetto alle decisioni della Corte ma è necessario un ulteriore ed autonomo Giudizio di Ottemperanza.

Si potrebbe pensare che ci sia un rapporto diretto tra la spesa pubblica ed il debito pubblico, invece così non è perché la prima esprime un costo certo ed “immediato” dello Stato, il secondo invece un costo solo eventuale (nel caso di pagamento degli interessi e/o rendimenti dei titoli collocati sul mercato, che in Italia comunque ammonta a circa 80 mld annui).

Il Rapporto tra debito e pil (espresso in percentuale, in Italia attualmente è di circa il 135%) rappresenta uno dei più importanti indicatori rispetto alla collocazione ed al rendimento dei titoli pubblici nel mercato finanziario.

Al netto delle concrete condizioni storico – politiche che determinano la scelta dei risparmiatori e/o investitori all’acquisto dei titoli di Stato, quindi sono fattori squisitamente finanziari quelli che influiscono sull’ammontare delle passività sui debiti, chiamato comunemente debito pubblico.

La riduzione del debito pubblico rappresenterebbe per molti un toccasana per l’economia. Lo rappresenterebbe soprattutto nell’ottica della riduzione dello “spread” (il differenziale posto a criterio dalle agenzie di rating rispetto all’affidabilità del soggetto emittente).

Per altri, invece, nell’ottica dell’Unione europea e dei criteri economici (quale ad esempio il rapporto deficit/pil) per giudicare l’affidabilità di un Paese, sarebbe più importante aumentare, o cercare di aumentare,  il Prodotto interno lordo.

Dunque, fino a quando i titoli di Stato rientrano esclusivamente in un’ottica di finanza pubblica, allora i fattori economici possono essere controllati e gestiti dalla politica; nel momento in cui, però, i titoli di Stato trovano collocazione sul mercato finanziario privato, c’è il rischio che i fattori della finanza privata prendano il sopravvento sulle scelte politiche, ciò che infatti succede ed è successo con il declassamento degli Stati (al pari di società private), quello che succede ed è successo con lo spread quale indicatore finanziario rispetto all’affidabilità degli Stati emittenti titoli obbligazionari.

L’inversione di tendenza di cui si parla con insistenza soprattutto dopo la vittoria alle elezioni europee del Pd italiano dovrebbe rappresentare allora proprio questo: che si ristabilisca il primato della politica sull’economia.

Al netto quindi delle politiche economiche “keynesiane”  di “crescita” e di “investimenti pubblici” (di cui anche il presidente del Consiglio Renzi ha parlato all’indomani delle elezioni europee) sarebbero necessarie, a livello di Unione europea, misure strettamente finanziarie quali l’adozione di “eurobond” e la diminuzione o l’abolizione dello “spread”, quale criterio indicativo per i mercati privati.

 

La commissione parlamentare d’inchiesta e la relazione della DNA (direzione nazionale antimafia) su episodi presunti mafiosi in Basilicata.

Di Giampiero Calia – Maggio ’14

 

MATERA – Il giurista Giovanni Fiandaca (estensore di uno dei più importanti manuali di diritto penale in circolazione e candidato del partito democratico per le prossime elezioni europee) in una recente intervista sul Corriere della Sera (in riferimento al caso della “trattativa Stato – mafia” e della latitanza di Marcello Dell’Utri, condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa) poneva la distinzione tra un’antimafia concreta ed un’antimafia solo di facciata. La questione è tornata d’attualità dopo l’audizione a Matera della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso e sulle altre associazioni criminali e dopo la relazione della DNA su episodi presunti mafiosi in Basilicata.

Che il “vessillo” dell’antimafia possa prestarsi a speculazioni è dimostrato da due recenti casi in Calabria: il primo ha visto protagonista la presidente di un’associazione “antimafia” accusata di peculato per aver utilizzato per fini propri fondi destinati all’associazione, il secondo ha visto protagonista il sindaco di un paese (in prima fila in diverse manifestazioni “antimafia”)accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma l’antimafia (con “buona” pace di quanti concretamente hanno dedicato, fino al sacrificio estremo, la loro vita alla lotta alla mafia) può prestarsi anche a speculazioni di altro tipo: politiche o di carriera. Può essere cioè il pretesto per farsi della facile pubblicità o per fare facile carriera. A dimostrarlo la vicenda della candidatura alle scorse elezioni politiche del giudice Antonio Ingroia (uno degli “istruttori” del processo sulla “trattativa”). E più è alto il livello di allarme sociale, più la speculazione può proliferare.

Consapevole di questo (“la mafia si trova quando si cerca dove c’è e non quando si pensa che sia ovunque”), ma anche che “presupposto per reagire è conoscere, non negare in maniera pregiudiziale”, l’on. Rosi Bindi, in qualità di presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, è stata prima a Bari (il 15 aprile) e poi a Matera (il 16 aprile).

Nel capoluogo pugliese la Bindi ha stigmatizzato il comportamento di alcune banche dopo le doglianze di chi gestisce alcuni beni confiscati (non sono stati erogati prestiti perché i beni confiscati non sarebbero, secondo tali istituti di credito, adeguatamente garantiti; mentre gli stessi beni prima della confisca erano “beneficiati” da finanziamenti bancari a diversi zeri) ed ha proposto l’istituzione in Puglia di un’agenzia per i beni confiscati.

A Matera, nello stesso giorno in cui veniva approvata in Parlamento la norma che prevede il reato di “voto di scambio” (introdotto nel Codice Penale all’art. 416 ter) ed in cui si è insediato a Potenza il “nuovo” procuratore capo, Luigi Gay (funzione ricoperta in “reggenza” per circa due anni dalla dott.ssa Laura Triassi, tornata, quindi, a ricoprire esclusivamente il suo ruolo presso la DDA, direzione distrettuale antimafia), l’onorevole Bindi ha sottolineato l’importanza di una legislazione antimafia adeguata (intesa come “corpus” unico di leggi in materia) rispetto alle c.d. “zone grigie”. Insieme alla Bindi, per l’audizione di istituzioni (Prefetto, Questore, comandante dei carabinieri, comandante della Guardia di Finanza, procura di Matera, procura di Potenza) ed associazioni (comitato terre ioniche, Libera Basilicata), c’erano anche Rosaria Capacchione (parlamentare del partito democratico e giornalista) e Tito Di Maggio, il parlamentare eletto in Basilicata che si è fatto promotore dell’iniziativa.

Motivo dell’incontro alcuni episodi verificatisi dall’estate del 2012 relativi a incendi, danneggiamenti e furti, nella zona del meta pontino.

Nei mesi scorsi, infatti, una relazione della Direzione Nazionale Antimafia (guidata dal procuratore nazionale , dott. Franco Roberti) indirizzata alla Dda lucana chiedeva di fare luce su alcuni episodi sui quali non sarebbero state date sufficienti informazioni: la relazione si riferiva in particolare a degli incendi avvenuti nella zona di Policoro nell’estate del 2012 e ad infiltrazioni della “camorra” in appalti dell’ospedale San Carlo di Potenza, lamentando la stessa (per quanto riguarda il fascicolo aperto dalla procura della Repubblica di Matera) un “difetto di comunicazione” tra la procura materana e la Dda potentina. La risposta (registrata dalla stampa locale) del procuratore capo materano non si è fatta attendere. La dott.ssa Celeste Gravina infatti ha escluso reticenze od omissioni rispetto a richieste di informazioni da parte della procura antimafia (sia centrale che distrettuale).

Nei giorni immediatamente successivi la Dda di Potenza (presso la quale svolgono funzione inquirente i magistrati Triassi e Basentini) ha aperto due indagini (nel materano e nel potentino): una relativa ad ipotesi di traffico illecito di rifiuti (coinvolti, tra gli altri, il presidente di CONFINDUSTRIA Basilicata ed un imprenditore materano) tra la zona di estrazione petrolifera concessa ad ENI e l’azienda tecno parco in val Basento, un’altra (denominata “vento del sud”) per ipotesi di reati contro la Pubblica amministrazione (peculato, corruzione, ecc.) che ha coinvolto amministratori locali per la gestione di alcuni appalti.

Nel frattempo, in seguito ad un’altra inchiesta (denominata “Black land”) sul traffico illecito di rifiuti (partita dalle dichiarazioni del pentito di camorra, Carmine Schiavone), sono stati operati  arresti e sequestri in Campania, Puglia e Basilicata.

 

la XVII legislatura del premier Renzi

di Giampiero Calia – Aprile ’14

 

ROMA – Matteo Renzi (in carica come presidente del Consiglio ormai da più di un mese) ha messo al centro del suo programma di governo provvedimenti che erano considerati essenziali già con il precedente governo Letta, ma che non hanno avuto il tempo di vedere la luce.

Stiamo parlando in particolare della legge elettorale e delle riforme (segnatamente la modifica costituzionale del bicameralismo e la riforma, del già riformato, titolo V della Costituzione).

La precedente legge elettorale (il c.d. “Porcellum”) è stata dichiarata incostituzionale lo scorso dicembre, tanto che è venuto a crearsi un vuoto normativo. Appena prima di essere nominato premier, il segretario del PD (Renzi è stato eletto alla più alta carica dl partito democratico in seguito alle primarie di dicembre) aveva dato prova di un certo attivismo lavorando con il suo staff (componente la direzione PD) prima al c.d. “jobs act” e poi alla elaborazione di una nuova legge elettorale (concordata fuori dall’aula del Parlamento con la formazione politica di Forza Italia).

Insomma i tempi sono stati considerati  “maturi” per un cambio di Governo (preso atto della impossibilità del governo Letta di chiudere nei 18 mesi previsti ed in vista del semestre europeo a presidenza italiana di luglio).

C’è chi in riferimento all’operazione condotta soprattutto da PD e NCD (le due principali forze politiche alleate in quello che è un governo di larghe intese:  inizialmente, con Letta come presidente e con la formazione politica dell’ex PDL,  “di scopo” ovvero a tempo; ora, con Renzi premier e con la neo formazione politica del Nuovo Centro Destra, si prefigge di concludere tutta la diciassettesima legislatura) con l’avallo del presidente della Repubblica, ha rievocato i trasformismi noti del periodo del penta partitismo di colore bianco democristiano. Nel frattempo, però (lo scorso autunno), è cambiato il “quadro” politico con la dichiarazione di incandidabilità di Berlusconi, prima, e con la conseguente scissione del PDL, poi.

Nei fatti, dunque, le iniziative del capo dello Stato prima (ne abbiamo parlato già in un precedente articolo: “il risiko della XVII legislatura”) e del capo del Governo, ora, stanno consentendo quello che può essere considerato come un vero e proprio traghettamento verso la III repubblica (ossia verso un sistema presidenziale o di premierato con maggiori poteri al capo dello stato e/o al capo del governo)

 

Legalize it

Di Giampiero Calia – Marzo ’14

 

ROMA – Una recente sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la legge Fini – Giovanardi nella parte in cui equiparava le droghe leggere a quelle pesanti, da ciò l’effetto immediato di depenalizzare la detenzione a fini di spaccio di modiche quantità di hascisc o di marjiuana.

La regione Puglia ha emanato una legge per la coltivazione di “canapa indica” e la vendita dei suoi estratti a fini terapeutici (in linea con quanto già legalizzato in Liguria); in questa stessa regione (nel Salento) intanto è nato il primo “cannabis social club” a scopo terapeutico.

Questa la situazione italiana. Mentre nel mondo, in particolare negli Stati Uniti, il processo di legalizzazione è addirittura in una fase in cui (negli Stati come ad esempio il Colorado o Washington) lo Stato tenta di regolare il mercato dei coffe shops ai fini di tutela del consumatore. Di recente, infine, anche l’Uruguay ha optato per la legalizzazione delle droghe leggere, affiancandosi così ad altri Stati che tale scelta l’hanno fatta in passato (l’Olanda su tutti dove sono nati i primi coffe shops ad uso ricreativo, ma anche la Spagna dove la legge consente l’apertura di social club in cui consumare hascisc o marjiuana semplicemente tesserandosi al club). Insomma nel mondo (tra i paesi maggiormente sviluppati) ormai sono in molti ad aver optato per questa scelta, laddove invece, in altri casi, il consumo è più o meno tollerato.

Alcune delle conseguenze della politica proibizionista in Italia: il sovrannumero di detenuti nelle carceri, il favorire di fatto del mercato illegale (e quindi la criminalità organizzata), aumentare la probabilità che dall’uso di droghe leggere si passi a quelle pesanti (lasciando in mano ai criminali la gestione del mercato).

Alcuni effetti positivi della politica di legalizzazione: togliere al mercato illegale la gestione delle sostanze, creazione di un comparto economico – produttivo legato alla coltivazione ed al commercio della cannabis (cosa che già accade con la canapa sativa), controllo rispetto a sicurezza e salute.

A più riprese ormai si leggono interventi sulla stampa (anche quella specializzata) a favore della legalizzazione della marjiuana. Tra i suoi sostenitori, Umberto Veronesi, noto oncologo, e Andrea Riccardi, ministro per l’integrazione nel governo Monti. E poi ci sono le associazioni  che attorno alla canapa organizzano incontri e fanno sensibilizzazione, ma che operano concretamente rispetto soprattutto alla lavorazione della canapa sativa (ricordiamo che quest’ultima in passato era una delle fibre più usate e che viene utilizzata per diverse lavorazioni, in particolare cosmetica e alimentazione).

 

La “terra dei fuochi” e le “ecobombe”.

Di Giampiero Calia – Feb. ‘14

 

ROMA – Alle porte della capitale, Malagrotta è la più grande discarica d’Europa; il gestore, Manlio Cerrone, è accusato di reati contro la Pubblica Amministrazione. In Calabria (fonte: ilfattoquotidiano.it) è prevista la costruzione della seconda discarica più grande d’Europa. In Campania, nella c.d. “terra dei fuochi” (tra Napoli e Caserta), il mese scorso è stato necessario l’intervento dell’esercito per l’emersione dei rifiuti (tossici e pericolosi) interrati nelle campagne limitrofe ai centri abitati; così come nel Salento è stata organizzata una task force (Guardia di Finanza, Noe, Gico) per il monitoraggio di alcune zone sospette. In Lombardia, a Milano, il commissario straordinario per la bonifica di un’area industriale (l’ex Sisas) è stato arrestato per reati legati alla gestione della bonifica.
La gestione del ciclo dei rifiuti, quale materia penale, rileva sia per i reati c.d. “della Pubblica Amministrazione” (corruzione, peculato, ecc.) che per quelli “ambientali” (traffico illecito, disastro ambientale, ecc.). In Italia, insomma, dovunque (da nord a sud) sono emerse ipotesi di reato legate al ciclo dei rifiuti, proprio perché lo smaltimento si presta a speculazioni di vario tipo.
La dott.ssa Maria Cristina Ribera (in servizio presso la Procura della DDA di Napoli nel 2009) aveva già evidenziato, in un incontro tenutosi a Potenza (in occasione di un corso per magistrati e avvocati), gli interessi della criminalità nel settore. Ma già negli anni ’90, il pentito di camorra, Carmine Schiavone, aveva raccontato di illeciti sotterramenti di rifiuti di ogni tipo. Le sue dichiarazioni rese alla Commissione parlamentare d’inchiesta, a quel tempo sono state coperte da segreto di Stato, sino alla desecretazione avvenuta nel recente passato.
Di “terra dei fuochi” si è cominciato a parlare (soprattutto a livello mediatico) dall’uscita del primo libro di Roberto Saviano, “Gomorra”, nel quale erano già evidenziati (documenti alla mano) gli interessi della criminalità attorno al “business” dello smaltimento. L’epiteto è stato dato alla zona per la pratica di bruciare i rifiuti (smaltiti illegalmente) più superficiali.
La disciplina dello smaltimento dei rifiuti, quale materia unitaria regolata per legge (anche nei suoi risvolti penali), è ora prevista dal Testo Unico per l’Ambiente (del 2006) che ha integrato e modificato l’originario testo di legge (il c.d. “decreto Ronchi” del 1997, d. lgs. 22/97) che, per primo, ha riconosciuto la materia come oggetto di apposita regolamentazione.
In materia ambientale sono anche altre le c.d. “ecobombe” pronte ad esplodere con gli effetti più diversi, dall’inquinamento atmosferico (e quello idrico ed acustico) alla variazione delle bellezze naturali e/o paesaggistiche. Da questo secondo punto di vista desta preoccupazione in Basilicata il progetto per la costruzione di un impianto per l’energia fotovoltaica, in località Palazzo San Gervasio (Pz), su una superficie di diverse decine di ettari, da parte di una società energetica locale, la Tecnosolar.

 

Il governo del territorio (in particolare la tutela di un bene patrimonio dell’umanità, i Sassi).

Di Giampiero Calia – Gen. 2014

 

MATERA – Se ne è discusso in un convegno qualche tempo fa, sotto l’egida dell’Unesco. Ciò che è sotto gli occhi di tutti, in particolare di turisti e di osservatori speciali (in particolare a Bruxelles), è anche il risultato dell’assenza di comportamenti illeciti, soprattutto quelli di tipo “mafiosi” (ciò che però ancora non è sufficiente ad attrarre investimenti endogeni : carenza dovuta, almeno in Basilicata,  in primo luogo alla mancanza di infrastrutture), risultato di una politica locale incentrata (e questo in maniera evidente solo da una decina d’anni a questa parte) sul recupero e risanamento degli antichi rioni di tufo (a partire dalla legge 771/86) e che ha coinvolto (oltre chiaramente agli amministratori) soprattutto operatori culturali e turistici.

Stiamo parlando di un complesso architettonico unico al mondo, patrimonio mondiale dell’umanità dal 1993, in cui ogni minimo abuso (soprattutto edilizio) o solo tentativo viene immediatamente stigmatizzato, scoraggiando in tal modo privati o amministratori interessati più al bene proprio che a quello comune; alcuni esempi hanno richiamato l’attenzione di associazioni ed organi di informazione (in qualche caso anche la magistratura): un caso riguardante un ascensore privato all’interno di un abitato nei Sassi (poi si è scoperto che tale abitato era proprietà di un giudice in servizio a Matera) o ancora quello del progetto (ora sospeso) di alcuni “ascensori” comunali per l’accesso negli antichi rioni, quello di un “ponticello” in via Lombardi a forte impatto ambientale (solo di recente è stato previsto uno stanziamento tramite i fondi FAS per un rivestimento esteticamente compatibile). Poi ci sono anche le eccezioni: è il caso “macroscopico” del parcheggio in costruzione in un antico giardino conventuale (la questione è stata sollevata per prima da associazioni ambientaliste e poi passata al vaglio della magistratura amministrativa).

Altri interventi significativi in questi ultimi anni nei rioni Sassi hanno riguardato il recupero (in alcuni casi ancora in atto) di alcuni palazzi storici: Palazzo Pomarici, Palazzo Gattini, Palazzo Malvezzi e finanche della locale Cattedrale.

Insomma pian piano è venuto alla luce, con un lavoro di “cesello” che dura ormai da vent’anni, un gioiello di cui alcune “pietre” ne sono un’antica torre (la torre metellana, di periodo tardo romano) o le “vecchie” porte di accesso alla città (ciò che fa ritenere l’esistenza di una fortificazione attorno alla città dei Sassi, di cui però non si hanno precisi riscontri storici).

 

Matera 2019: con la cultura si mangia?

Di Giampiero Calia – Dicembre ’13

 

MATERA – L’idea di candidare Matera a capitale europea della cultura è venuta ad gruppo di associazioni nei primi mesi del 2009. Si è trattato in quella fase di compilare e spedire una semplice domanda on line.Il comitato per la candidatura di Matera a “capitale europea della cultura 2019” si è formato solo in seguito (lo statuto è del giugno 2011) ed è costituito per lo più da istituzioni pubbliche.
I primi stanziamenti economici sono stati previsti dalla Regione Basilicata nella Legge di bilancio del dicembre 2011.
“Nel 2013  in base ad un accordo quadro tra Regione e comune di Matera – ha detto di recente l’imprenditore e consigliere materano Angelo Tosto – sono stati stanziati 1.500.000€ ed è previsto un compenso per il suo direttore generale di 85.000 € l’anno per venti ore di lavoro settimanali”.
Alla luce di questa breve cronistoria e delle dichiarazioni di Tosto, è giusto fare alcune riflessioni/considerazioni e chiedersi qual è il ritorno economico per il territorio.
La questione , chiaramente, va posta in un contesto più ampio, ossia quello del “modello di sviluppo” di un territorio. Stiamo parlando in questo caso di marketing territoriale dove ad essere “trainati” sono cultura e turismo (intesi come settori economici).
Nel caso specifico di Matera 2019 il discorso circa investimenti e ritorno economico per il territorio va fatto per un progetto di media- lunga scadenza (e la inclusione di Matera nella rosa delle città finaliste fa ben sperare in questo senso); laddove invece non avrebbe avuto molto senso e cioè gli investimenti non avrebbero prodotto risultati nel caso di un discorso a breve scadenza (se, ad esempio, l’avventura della candidatura si fosse conclusa nella fase di selezione delle sei città finaliste).
In tal caso allora può analizzarsi (ma probabilmente è ancora presto per farlo con numeri e percentuali, potendola per il momento solo monitorare) la situazione in termini di ritorno diretto e indiretto, di indotto economico, ecc.

 

L’Eni ed il “cineturismo” in Basilicata.

Di Giampiero Calia – Novembre ’13

 

MATERA – La Fondazione Eni Enrico Mattei (Feem) è un istituto di ricerca  nato nel 1989 come organismo senza fine di lucro della compagnia petrolifera ENI  e si occupa di sviluppo sostenibile e di “governance” globale. Nel 2011, il ricercatore Angelo Bencivenga, insieme ad altri, ha realizzato uno studio sull’impatto del film  “Basilicata coast to coast” in regione.
L’Eni, come è noto, con la sua attività di estrazione petrolifera è presente nella zona della valle del fiume Agri (a ridosso del Parco nazionale del Pollino) da circa vent’anni. E, come è noto, non sono (e non sono state) unanimi le voci a favore delle estrazioni (anche quelle nella valle del fiume Sauro da parte della compagnia Total)  nel corso dei questo ventennio, soprattutto in riferimento all’impatto ambientale, alle utilities (royalty in particolare) per il territorio regionale e, più in generale, al tipo di sviluppo economico che la presenza di un’attività estrattiva da circa 150000 barili al giorno comporta (l’industria del petrolio –considerando entrambe le compagnie, ENI e Total – in Basilicata realizza un fatturato di 200-300 milioni l’anno, con un ritorno in termini di royalty di una percentuale sotto il 10% e di lavoratori alle dirette dipendenze di circa due- trecento addetti; in termini di indotto “con la creazione di imprese non tutte sorte a seguito dell’attività estrattiva nell’area di localizzazione del centro Olii di Viggiano – COVA –“* per un totale di addetti dell’indotto che solo per la parte Eni è di circa tre-quattrocento).
In un incontro-convegno dello scorso settembre, promosso dalla Lucana Film Commission, si è discusso circa “Il cineturismo ed il ruolo delle film commission”, con la presenza, tra l’altro di Bencivenga, riproponendo lo studio della fondazione ENI Enrico Mattei.
Che il marketing territoriale sia una delle leve mosse da più di dieci anni in Basilicata, ma anche nella vicina Puglia, è un dato di fatto. Testimonial, in un certo senso, ne è diventato Rocco Papaleo che con il suo secondo film da regista, “Una piccola impresa meridionale”, pare essersi “svincolato” in qualche modo dalla logica del marketing territoriale in Basilicata pur trattando una storia che riguarda, “latu senso”, il meridione d’Italia.
Avevamo già svelato i meccanismi produttivi e promozionali alla base del più famoso “Basilicata coast to coast” (e del meno famoso “Stand by me”, di cui parliamo in seguito): e cioè sostegno e partnership pubblico – privato (nel caso di specie tra Regione Basilicata – con uno stanziamento di circa 1 milione di euro dai fondi Fesr per il film di Papaleo – e la Total, industria del petrolio che estrae in Basilicata circa 50000 barili di greggio al giorno e che ha “sponsorizzato il film con circa 200000€”*) e mamma Rai (la partecipazione di Rocco Papaleo al festival di Sanremo del 2012 che aveva come sponsor la ENI, la partecipazione e la vittoria di tre statuette ai David di Donatello nel 2011, premio cinematografico targato RAI) a fare da cassa di risonanza.
“Stand by me”, cortometraggio realizzato dal regista bernaldese Giuseppe Marco Albano (nell’ambito dell’associazione “Basilicataciak” e prodotto dalla Logic film), si è mosso nella stessa logica del marketing territoriale (la stessa storia, firmata Damiano Laterza, tratta smaccatamente della promozione di un territorio, solo in chiave ironica).

*“secondo rapporto Eni – Val d’Agri” a cura CGIL e FIOM

*  “”Olambientalista””

 

Urbanistica, edilizia e lavori pubblici a Matera: il problema ambientale e la lottizzazione abusiva (art. 44, lettera c, T.U.E.).

Di Giampiero Calia – Ottobre ’13 

 

MATERA – Da circa un anno (agosto 2012 ) sono cominciati a Matera degli interventi di edilizia che vanno ad incidere sull’urbanistica del territorio e che presentano il seguente problema: la convenzione di lottizzazione relativa a tali interventi prevede la riqualificazione di un antico Mulino (foto affianco) come contropartita (dichiarazioni a mezzo stampa dell’architetto incaricato del progetto di riqualificazione) della edificazione di un’area (in concessione pubblica) a nord di Matera.

L’area data in concessione (C./73/2012) per appartamenti in edilizia residenziale (foto sotto) sorge a ridosso di un’area destinata (ex piano regolatore “Piccinato”) ad edilizia popolare: può farsi una lottizzazione per edilizia residenziale in quell’area?

L’ing. Tataranni (dirigente ufficio urbanistica del comune di Matera) ci ha spiegato :”Abbiamo deciso in base alla legge 106 del 2011 (primo decreto sviluppo che prevede norme per la semplificazione, la crescita e lo sviluppo anche in edilizia – n.d.r)”. Tale decreto, però, ha subìto modifiche (da ultimo decreto “sviluppo bis” del dicembre 2012) e nonostante ciò, il riferimento normativo nel settore dell’edilizia rimane il T.U.E (Testo Unico per L’Edilizia:  D.P.R, poi convertito in legge, n. 186 del 2001).

In riferimento alla domanda che ci poniamo (ed a cui speriamo che qualcuno dia risposta), il T.U.E. prevede la c.d. “lottizzazione abusiva”. Tale istituto giuridico, una vera e propria figura di reato, è stata introdotta solo di recente ( in seguito alle modifiche apportate al c.d. decreto Ronchi). Si tratta di una fattispecie c.d. “di pura creazione legislativa” (in base alla distinzione tra delitti naturali e reati artificiali, molti di natura contravvenzionale), ossia di non facile riconoscimento nella realtà concreta dei fatti ma che pur sempre presenta un disvalore sociale (tanto da meritare la sanzione penale) in riferimento al bene giuridico (tutelato costituzionalmente) “ambiente”, il quale, poi, a sua volta, sia nella formazione della legge che nella sua applicazione, va contemperato con altri beni parimenti costituzionali (ad es. libertà di iniziativa economica, il lavoro, ecc.).

Della lottizzazione, quale  “convenzione” tra impresa edile e pubblica amministrazione (e come tale avente natura contrattuale e non di atto amministrativo e che, nella “prassi” dei rapporti tra “pubblico” e “privato”, spesso deroga a qualsiasi principio o norma imperativa in materia “ambientale”), ci siamo già occupati in riferimento al “caso” (sollevato da alcune associazioni locali) della  costruzione di edifici di edilizia residenziale in una zona immediatamente a ridosso del Parco regionale della Murgia a Matera ad opera di un consorzio di imprese edili, denominato “Il Quadrifoglio”.
Due sono le ipotesi di reato previste dall’art. 44, lett. C, del Testo Unico per l’Edilizia (D.P.R, poi convertito in legge, n. 186 del 2001): una prima viene in essere per mancato rispetto degli strumenti urbanistici vigenti o comunque delle norme previste dalla legislazione; una seconda invece riguarda interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza di permesso.
In riferimento alla legge citata dal dirigente dell’ufficio urbanistica del comune di Matera, la norma del T.U.E. non è cambiata e cioè il bene tutelato in tal caso è rappresentato sempre dall’ordinato sviluppo urbanistico del territorio in conformità degli strumenti urbanistici*.

* Da Altalex.com

* Tra le altre: sent. Cass. 5115/01

 

Lucana film commission: un bilancio a cinque mesi dalla nomina del d.g., ad un anno e mezzo dalla sua costituzione ed a due anni dalla sua “gestazione” in rete.

Di Giampiero Calia – Luglio ’13

 

MATERA – La Lucana film commission, fondazione (ente giuridico di diritto privato senza fini di lucro) con patrimonio (a dicembre 2011 ex legge regionale di bilancio) di 100.000,00€ (di cui 50.000,00€ della Regione Basilicata, 30.000,00 € di province di Potenza e Matera, 20.000,00€ dei comuni di Potenza e Matera) ed i cui organi sono il Consiglio generale (formato dai rappresentanti degli Enti pubblici soci) e il Consiglio di Amministrazione (consiglieri – tra cui la figlia della sceneggiatrice Suso Cecchi D’amico – e presidente – il giornalista Franco Rina – nominati dal Consiglio Generale; direttore generale – il giornalista Paride Leporace – scelto dal consiglio di amministrazione), a cinque mesi dalla scelta del suo direttore generale e quindi dalla sua operatività, si è occupata della materia sua propria (piuttosto composita come da statuto e che va dalla promozione del territorio al supporto delle produzioni locali, dalla promozione del cinema tramite festivals al film found) tramite un convegno (a febbraio sul “cineturismo”), un incontro presso la sede della Rete cinema Basilicata (dove il direttore, tra l’altro, ha annunciato la predisposizione di due bandi: uno per le produzioni cinematografiche, l’altro per sceneggiatori), il sostegno alla festa del cinema (tenutasi lo scorso maggio), la realizzazione del sito internet della L. F.C.

Intanto, nella regione “cugina”, l’Apulia film commission (nello stesso periodo) ha posto il proprio “sigillo” in progetti audio visivi di rilievo ( fiction Rai su Domenico Modugno gen./feb. 2013; fiction di produzione americana Beatiful apr. 2013; lo scorso mese sono cominciate le riprese del nuovo film di Ozpeteck), ha inaugurato (a marzo) una mediateca regionale a Bari, ha partecipato/organizzato festival (ad es. il “Bifest”) e retrospettive cinematografiche (ad esempio sul cinema pugliese al cineporto di Bari o di autori stranieri), da ultimo sta ospitando (tramite un apposito bando finanziato con circa 400.000,00 €) venti “giovani” sceneggiatori (provenienti da tutto il mondo e di cui due sono pugliesi) e produttori affermati a livello internazionale per un workshop in giro per la Puglia.

Lungi da noi mettere fretta alla LFC o fare paragoni che sappiano di competizione (anche se un confronto è sempre positivo) ma non vogliamo che, legata com’è alle sorti pubbliche (soprattutto a quelle dell’amministrazione regionale), la stessa rimanga impantanata nel “non fare”.

 

La “Misericordia” di Pisa: il buco di bilancio ed i quaranta lavoratori “a rischio”.

Di Giampiero Calia – Giugno ’13

 

PISA – Sembra una storia già sentita, ed infatti in parte lo è ; ma la protesta dei lavoratori della “Misericordia” a Pisa (con presìdi e manifestazioni) ha qualcosa di peculiare soprattutto perché trattasi di un’associazione religiosa. Infatti come tale la stessa non può contrarre rapporti di lavoro (quanto meno nella forma dei contratti tipici), al più forme di collaborazione (ma neanche tipizzate dal legislatore); ed in secondo luogo per i finanziamenti ottenuti in virtù della gestione di alcuni servizi (i quaranta lavoratori interessati dalla decisione di “lasciarli a casa” – ha detto così una delle manifestanti – sono per lo più portantini ovvero operatori di primo soccorso).

Trattasi di storia già sentita perché ha fatto notizia (se ne è occupato tra l’altro “Report” di rai tre) il caso di un istituto sanitario romano: una clinica convenzionata i cui amministratori (presidente, guarda caso, un religioso) sono tutt’ora sotto processo per reati legati alla gestione economica e finanziaria dell’ente. Anche in questo caso a subire gli effetti della “mala gestio” sono stati i dipendenti, compreso lo staff medico (con il mancato pagamento regolare degli stipendi, ecc.).

Insomma la sanità (così come impostata secondo l’attuale assetto normativo che prevede l’autonomia finanziaria delle ASL e la competenza regionale in materia di cui all’art.117 della Costituzione, da cui sovvenzione alle cliniche private, esternalizzazione di servizi, ecc.) è uno di quei settori (stando anche a rapporti della Corte dei Conti) in cui la pubblica amministrazione mostra tutta la sua debolezza (in riferimento alla spesa pubblica ed a fenomeni di corruzione).

 

Il “risiko” della XVII legislatura: verso una repubblica “presidenziale”?

Di Giampiero Calia – Maggio ’13 

 

ROMA – Quello che si è consumato in questi ultimi due mesi (dalle elezioni, cioè, del 23 e 24 febbraio scorsi) è il risultato di diverse varianti: la natura del Partito Democratico (soprattutto per la convivenza in esso di diverse “anime”),la caduta del governo Berlusconi a novembre 2011 ( e la conseguente “nomina” di Monti da parte di Napolitano), il venir meno dell’appoggio a Napolitano da parte del PDL a novembre 2012 per andare alle elezioni anticipate ed, infine, il risultato elettorale del movimento 5 stelle.

Pare, insomma, la fine di un ciclo, quello della c.d. “seconda repubblica” (basata su un sistema elettorale maggioritario, ricordiamo voluto dagli stessi cittadini italiani, chiamati ad esprimersi nel 1993 tramite referendum sull’abrogazione del vecchio sistema elettorale proporzionale) mai comunque del tutto realizzatasi.

Il “ciclone” tangentopoli aveva spazzato via praticamente tutti i vecchi partiti della politica italiana (in particolare quelli del c.d. “pentapartito”, DC e PSI in testa), ma molti dei rappresentanti di quella “vecchia” classe dirigente erano riusciti a riciclarsi: chi nell’area del c.d. “centro sinistra” (nacquero formazioni politiche che poi confluirono nella Margherita, fusasi poi con i ds, e di cui facevano parte anche altri “eredi” del PCI, come rifondazione comunista, ed un nuovo movimento “di protesta” capeggiato dal magistrato di tangentopoli, Antonio Di Pietro) e chi nel nascente movimento creato da Silvio Berlusconi (inizialmente con un’alleanza che comprendeva, oltre al nuovo movimento di protesta del nord Italia, la Lega lombarda, ed agli “eredi” del MSI, gli ex democristiani Casini e Mastella).

E’ così, insomma, che è nato il sistema bipolare “all’italiana” che, guardato retrospettivamente, ha significato “berlusconismo” vs “antiberlusconismo”.

L’attuale composizione parlamentare, così come uscita dalle urne del 23 e 24 febbraio, è rappresentata da tre grandi partiti di minoranza (PD, M5S, PDL), oltre a formazioni come SEL, Scelta civica e Fratelli d’Italia: ciò che ha determinato una situazione di stallo per sessanta giorni (relativamente alla nascita del nuovo Governo, quello presieduto da Letta)  e ciò che è stato reso possibile dall’attuale legge elettorale.

Insomma un sistema bipolare “imperfetto” dove, da un anno e mezzo a questa parte (come dimostrano sia la nomina di Monti da parte di Napolitano nel novembre 2012, sia la soluzione, quella dei c.d. “dieci saggi”, demandata a Napolitano per risolvere l’impasse parlamentare relativamente al mancato tentativo di formare il Governo da parte di Bersani, leader dello schieramento che ha preso la maggioranza dei voti alle ultime elezioni e sia, infine, il ricorso al nome di Napolitano durante le elezioni del nuovo presidente della repubblica, e la sua stessa riconferma, nonostante lo stesso avesse più volte annunciato la sua volontà d non ricandidarsi), a sbrogliare le matasse più intricate ci ha pensato sempre il presidente della Repubblica.

E allora se nel “paniere” in dote alla Convenzione per le riforme (lo strumento annunciato dal nuovo ministro per le riforme, Quagliarello, ), quella che dovrebbe essere una sorta di “Costituente” per la III repubblica, ci fosse anche la riforma dei poteri del capo dello Stato (con una eventuale e conseguente modifica alla Costituzione, con una eventuale votazione diretta da parte dei cittadini)?

 

La mediateca provinciale di Matera: l’ultimo “regalo” del presidente prima della “paventata” soppressione della provincia?

Di Giampiero Calia – Aprile ’13

 

MATERA – La procedura per l’affidamento del servizio pubblico della Mediateca provinciale di Matera è stata attivata all’inizio del 2012. La società cooperativa a responsabilità limitata della Mediante ha cominciato ad operare alla fine dello stesso anno. Rispetto alla gestione precedente (affidata alla stessa Mediante) l’utilizzo delle postazioni internet è gratuita (previa registrazione e senza tessera a pagamento come era in precedenza) e non è più possibile usufruire a pagamento degli altri strumenti (quali fotocopiatrici, scanner, ecc.), evidentemente perché la suddetta società nell’ambito del servizio erogato non può svolgere attività commerciale (come invece faceva in precedenza con tanto di rilascio di scontrino fiscale). Come prima, invece, l’attività di convegnistica e logistica per l’allestimento di mostre. La dotazione della struttura, inoltre, comprende anche diversi impianti audio visivi (monitors, telecamere e softwares).

Fin qui il resoconto del servizio che la Mediateca provinciale di Matera  offre agli utenti.

“Rispetto alla gestione precedente – ci ha detto Donato Loparco, addetto alla Mediateca, in un incontro informale – sono cambiati i termini del contratto. Alla gara ha partecipato anche un’altra società che, tra l’altro, è arrivata anche prima; però l’appalto se l’è aggiudicato questa società (ndr: la Mediante).”

Di soppressione delle province si è cominciato a parlare dall’estate del 2011 (governo Berlusconi). La  Provincia di Matera era tra quegli enti territoriali che avrebbero dovuto essere soppressi (in virtù anche di un successivo provvedimento del Governo Monti). Com’è noto, la norma non si è tramutata in legge per la fine del Governo Monti (novembre 2012), ma il c.d. decreto “salva Italia” (convertito in legge nel mese di dicembre del 2011) prevede norme per lo “snellimento” (assessorati, consiglio, uffici, ecc.) degli enti territoriali provinciali. Sta di fatto che, alla provincia di Matera, in periodo di austerity ed in pieno “sommovimento” per la paventata soppressione (non dimentichiamo che diversi rappresentanti di Provincia, presidente Franco Stella in testa, e comuni del materano erano “scesi in piazza” per manifestare proprio contro la norma), si è provveduto ad affidare (con stanziamento – ed esborso? – di soldi pubblici) il servizio (pubblico!) offerto dalla Mediateca (con una pubblicità non certo pari alle diverse esternazioni contrarie alla “soppressione”, con un bando ed un contratto, ricordiamo rispettivamente pubblico e ad evidenza pubblica, che non sono di facile accessibilità, tant’è che non è possibile reperirli via internet) ad un soggetto che è “formalmente” lo stesso della gestione precedente ma che, ad esempio, non ha gli stessi addetti di quella gestione.

Perché si è provveduto proprio quando l’ente stava per essere soppresso (qualcuno si è preoccupato che non gli veniva rinnovato l’appalto?)? E perché è stato assegnato proprio alla “Mediante” (nonostante – come detto da Loparco – la società cooperativa sia arrivata seconda nella gara)? Che tipo di società è la “Mediante” – a parte la sua forma giuridica di società cooperativa a responsabilità limitata – e chi ne sono i soci (persone fisiche, persone giuridiche?)? Si è forse trasformata per l’occorrenza (qual era la struttura prima – a noi risulta fosse una srl – ? e chi ne erano i soci e gli amministratori – ?)?

Giriamo le domande al presidente della provincia, Franco Stella, ed al presidente della cooperativa, Vincenzo Malfa.

 

Lucana film commission, la prima uscita pubblica. Quale funzione?

Di Giampiero Calia – Marzo ’13

MATERA – Il 21 febbraio a Matera un incontro sul “cineturismo” è stata l’occasione della prima uscita pubblica della “neonata” Lucana film commission, fondazione (ente giuridico di diritto privato) con capitale “pubblico” (150.000,00 € di cui un terzo della Regione e gli altri ripartiti tra Province, Comuni capoluoghi e Soprintendenza) ed i cui organi sono: Consiglio generale (formato dai rappresentanti degli Enti pubblici soci) e Consiglio di Amministrazione (consiglieri – tra cui la figlia della sceneggiatrice Suso Cecchi D’amico – e presidente – il giornalista Franco Rina – nominati dal Consiglio Generale; direttore generale – il giornalista Paride Leporace – scelto dal consiglio di amministrazione).

L’incontro pubblico (alla presenza, tra l’altro, dell’assessore alla formazione, cultura e lavoro, Vincenzo Viti) ha palesato (almeno in queste prime battute) la sostanziale funzione dell’ente sottoposta a logiche “pubbliche”, con riferimento particolare al “marketing territoriale”.

Non diversamente, insomma, da ciò che avviene con la “podolica”, il “cinema lucano” (stando alla prima uscita pubblica dell’ente che dovrebbe in qualche modo farlo proprio, rappresentarlo, veicolarlo) pare assurgere (almeno per il momento) a mero “brand”.

Se è vero (tanto che, per non dimenticare, dell’organo tecnico convocato nel 2011 dalla Regione per sbrogliare la “matassa” film commission faceva parte Silvio Maselli, d.g. dell’Apulia film commission), però, che bisogna “far tesoro” di esperienze simili di regioni limitrofe, non possiamo non dire che l’Apulia film commission (pur nata qualche anno fa) “colleziona” intanto partecipazioni in progetti audio visivi di rilievo (l’ultimo, in ordine di tempo, quello relativo alla fiction su Domenico Modugno).

 

Ilva: la questione giudiziaria

Di Giampiero Calia – Febbraio ’13

 

TARANTO – A voler fare la cronistoria giudiziaria dei fatti degli ultimi mesi che hanno riguardato lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, dobbiamo partire dall’ordinanza di “emergenza ambientale” del luglio 2012 a firma del sindaco di Taranto, che ha portato alle dimissioni del presidente del c.d.a., Nicola Riva. Avverso tale ordinanza, i vertici dell’azienda hanno presentato, subito dopo, ricorso al Tar. Era già in corso, però, un’inchiesta della magistratura ordinaria rispetto all’ipotesi di “disastro ambientale” a carico di otto persone tra cui i proprietari Riva; tant’è che, nello stesso mese, in una con la chiusura delle indagini preliminari, il Gip Todisco disponeva il sequestro dell’impianto “a caldo” dello stabilimento (con tutte le conseguenze del caso rispetto alla produzione ed all’occupazione). A latere della questione giudiziaria, intanto, si attivavano procedure amministrative (l’AIA del ministero dell’ambiente) e legislative (stanziamento di fondi per il risanamento della zona di Taranto interessata dalle emissioni inquinanti) che hanno tenuto banco nel dibattito sulla “sorte” dell’Ilva.

E siamo a novembre: e’ in questo mese, infatti, che il gip Todisco emette sette ordini di custodia cautelari e dispone il sequestro anche degli impianti a freddo dello stabilimento in seguito ad un altro filone dell’inchiesta Ilva che contempla per gli indagati (tra cui Emilio e Fabio Riva) l’ipotesi di associazione a delinquere. Stando quindi alla sola questione giudiziaria sarebbe la “fine” dello stabilimento; ma poiché gli interessi in gioco (lavoro e produzione in primis) sono di rilevanza capitale per una nazione, nello stesso mese di novembre è intervenuto il Governo Monti ad emanare un decreto (avverso cui l’ufficio giudiziario competente ha proposto il conflitto di attribuzione dinnanzi alla Corte Costituzionale, per cui l’esecutività dello stesso provvedimento legislativo è sospesa sino alla pronuncia della Consulta) con il quale si farebbero salvi gli interventi amministrativi (AIA in primis) e legislativi dei mesi precedenti ma creando al contempo un “vulnus” democratico: in sostanza il governo si sarebbe sostituito alla magistratura violando in tal modo il principio costituzionale della separazione dei poteri.

 

Pirelli – analisi di un “brand”.

Di Giampiero Calia – Febbraio 2013

 

MILANO –  Pirelli è uno dei marchi più antichi ed insieme più significativi dell’industria “italiana” che, al contempo, meglio esprime una determinata identità territoriale (nel caso di specie quella milanese). E’, insomma, un segno di riconoscimento non solo economico o di marketing ma che contiene in sé la “storia” stessa di un determinato territorio. In realtà sono pochi i marchi di cui può dirsi lo stesso. Si pensi, ad esempio, nel caso italiano, a Fiat o a Ferrari. Stiamo parlando, insomma, dell’industria italiana “propriamente” detta, quella che da noi ha attecchito in seguito alla rivoluzione industriale soprattutto al nord (in particolare in Piemonte e in Lombardia). Quella che, nel caso di Pirelli, così come di Fiat e Ferrari, in origine riguardava il solo “distretto” industriale automobilistico (Pirelli produceva pneumatici; Falk, altro industriale milanese, produceva l’acciaio, ecc.), quella che occupava lavoratori (in particolare operai, molti dei quali emigranti meridionali) alla catena di montaggio. Quella che poi, nel corso di tutto il novecento, ha “diversificato” i propri investimenti. Nel caso di Pirelli, infatti, gli interessi economici si sono spostati (in una con il “boom economico” ed a partire dagli anni settanta) dalla mera produzione di pneumatici alla partecipazione finanziaria in altri settori economici (quali petrolio, abbigliamento, calcio).

Ed infatti il marchio Pirelli (lungi ormai dall’’identificare solo ed esclusivamente il prodotto che in origine ne ha determinato la “fortuna”) è quello che appare come sponsor sulla maglia dell’’Inter (squadra di calcio del “socio” petroliere Moratti) ed è quello che “capeggia” sopra uno “”store”” del centro di Milano, in cui si vendono capi di abbigliamento.

 

L’’ordine degli avvocati: il paradosso di un ordine professionale (ente esponenziale di operatori della legge) che viola la legge.

Di Giampiero Calia – Gennaio 2013

 

ROMA – Tizio (lo chiameremo così per garantirne la riservatezza), dopo aver concluso il periodo previsto per il praticantato forense, consegna tutta la documentazione prevista per l’’iscrizione all’’albo dei praticanti abilitati (si tratta di una pratica che complessivamente, tra iscrizione, marche da bollo e tasse, comporta un esborso di circa 300 €€).

Succede che a Tizio viene negata l’’iscrizione in virtù della facoltà del consiglio dell’ordine (non diciamo di quale circondario per analoghi motivi di riservatezza) di “ratificare” o meno il provvedimento. E fin qui, senza entrare nel merito dei motivi del rigetto, tutto secondo poteri e facoltà previsti dall’’ordinamento.

La cosa strana è che l’’ordine degli avvocati possa aver violato la legge (nello specifico possa aver commesso un vero e proprio reato) senza neanche (si spera, altrimenti alla colpa si aggiungerebbe il dolo) esserne consapevole (essendo vero che la legge penale non ammette ignoranza, ma questa è un’’altra storia). E questo per un semplice motivo, derivante da due ordini di fattori: che il suddetto ordine (non essendo stata accolta la domanda di iscrizione all’albo) ha ricevuto somme e beni mobili (nello specifico l’equivalente di un’iscrizione annuale, del costo del tesserino e di due marche da bollo) di cui è detentore senza averne titolo e pur avendo avuto comunicazione della richiesta di rimborso.

Che somme e beni mobili siano detenuti senza titolo è confermato, anche, dal fatto che Tizio ha ottenuto rimborso dall’Agenzia delle Entrate per ciò che riguarda la tassa di concessione governativa.

 

La lottizzazione di aree urbane tra interessi privati e rispetto delle norme urbanistiche: un “caso di cronaca” a Matera.

Di Giampiero Calia – Dicembre 2012

 

MATERA – Levata di scudi da parte di alcune associazioni locali rispetto alla notizia della costruzione di edifici di edilizia residenziale in una zona immediatamente a ridosso del Parco regionale della Murgia a Matera ad opera di un consorzio di imprese edili, denominato “Il Quadrifoglio”.

Il Parco regionale, in quanto tale, è sottoposto a vincolo di in edificabilità “assoluta”. La questione si è posta perché gli edifici dovrebbero sorgere in una zona “lottizzata” negli anni ’70,  prima della delimitazione  (e della tutela e quindi dei vincoli ambientali) dell’area “protetta”, avvenuta negli anni ‘90.

La c.d. “lottizzazione” è una “convenzione” tra impresa edile e pubblica amministrazione (e come tale avente natura contrattuale e non di atto amministrativo) che, nella “prassi” dei rapporti tra “pubblico” e “privato”, spesso deroga a qualsiasi principio o norma imperativa in materia “ambientale”.  La “faccenda” (anomalia tutta italiana) in passato (ma ancora oggi) si è prestata a “speculazioni” di vario genere proprio perché , nonostante la previsione di strumenti urbanistici, quali il Piano Regolatore Generale, e di appositi reati, quale quello di “lottizzazione abusiva”, la materia pare svincolata da norme legislative a carattere generali che, nel contemperamento di interessi “costituzionali”, quali l’ambiente e la libertà di iniziativa economica,  preservino da speculazioni di sorta.

La lottizzazione, insomma, spesso avviene in deroga agli strumenti urbanistici generali (che pur sono previsti dalla legge: il piano regolatore generale, il regolamento urbanistico, ecc.) e per motivi contingenti; talmente contingenti che  hanno spinto il legislatore ad introdurre il reato di “lottizzazione abusiva”, art. 44 del Testo Unico per l’edilizia; idem per il c.d. “aumento delle cubature”.

E se è vero che il legislatore, sia nazionale  (legge n. 106 dell’agosto 2012, le cui norme relative all’edilizia sono ricomprese nel relativo Testo Unico) che regionale (c.d. “Piano casa”, approvato in Basilicata con legge regionale del novembre 2012), da ultimo ha inteso dare impulso all’edilizia (settore economico in crisi), è anche vero che ci si aspetta dagli enti preposti (in particolar modo la Regione, che in materia ambientale ha una competenza ex titolo V della Costituzione, così come riformato nel 2001, “rafforzata” rispetto al passato, ma anche il Comune) quel ruolo legislativo ed esecutivo idoneo ad evitare “scempi” e speculazioni.

 

La “quinta” mafia: realtà o fantasia?

Di Giampiero Calia – Dicembre 2012

 

MATERA – Di “quinta” mafia si cominciò a parlare negli anni ’90, quando anche nel materano si cominciavano a contare gli omicidi. Si trattava per lo più di “regolamento di conti” legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Un incremento di morti ammazzati che, in quel periodo, fece parlare di criminalità di tipo mafiosa in una zona (Matera e provincia) da sempre considerata, sotto questo punto di vista, come “isola felice”.  Centro di questa “escalation” criminale due paesi in particolare: Policoro (ma anche località marittime vicine, quali Metaponto) e Montescaglioso.

Di quest’ultimo paese è infatti originario Pierdonato Zito, considerato, nel processo a suo carico (e ad altri cinquantotto), a capo di un “clan” criminale di tipo mafioso (processo c.d. “Epilogo”, sentenza di appello, 1996) che era in “relazione” con la criminalità organizzata pugliese (di cui due esponenti erano latitanti nel paese lucano sul finire degli anni ’80).

“Revival” è il nome di un fascicolo penale aperto nel 2006 a carico di Salvatore Scarcia ed altri quindici. Già il nome indica la ritenuta (da parte degli inquirenti) “recrudescenza” del fenomeno (quello della criminalità organizzata) nel materano, dato che dalle indagini relative a fatti di droga, estorsioni, possesso di armi, risultavano essere implicati nomi (soprattutto quello degli Scarcia, famiglia di “zì” Emanuele”, di Policoro, con sei figli tutti implicati a vario titolo in diversi procedimenti per associazione a delinquere) legati soprattutto a quelli del primo processo per mafia in Basilicata (processo “Siris”).

Nel caso del processo “revival”, però, a conclusione del giudizio di primo grado, il Giudice, in composizione collegiale, nella sentenza depositata nell’ottobre 2010 spiegava che, pur condannando Salvatore Scarcia (alla pena di ventiquattro anni di reclusione) ed altri sette (con pene comprese tra i quindici ed i cinque anni) per i reati di associazione a delinquere “semplice”, spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, ecc., “non sussisteva la prova dell’esistenza del vincolo di tipo mafioso del sodalizio criminale”. In sostanza il Giudice ha ritenuto non esserci quel particolare “patto” tra i sodali, secondo quella struttura complessa e organizzata (picciotti, affiliati, capo mandamento, boss, ecc.) in maniera verticistica tipica della mafia siciliana, calabrese, campana o pugliese.

Il secondo grado di giudizio ha sostanzialmente confermato la sentenza di I grado. Intanto la difesa di Salvatore Scarcia (avvocato Malvinni) riusciva ad ottenere la revoca della misura della custodia cautelare per il principale imputato ed a convincere il giudice di ultima istanza ad annullare con rinvio (al Tribunale di Salerno)le due sentenze precedenti per questioni attinenti alla formazione della prova  da parte della Procura (per la DDA, i procuratori Basentini e Montemurro, per la procura della Repubblica di Matera, la dott.ssa Faraooni). Insomma processo tutto da rifare sin dal primo grado ed in Tribunale diverso da quello “naturalmente” competente.

La “tesi” esposta nella sentenza di I grado, e cioè quella relativa all’inesistenza di una “mafia” propriamente detta, è stata sostenuta (prima della stessa) in un articolo a firma del giornalista Andrea Di Consoli.

Di “quinta” mafia si è parlato anche a proposito di un altro procedimento aperto presso il Tribunale di Potenza dove, nella sentenza di I grado emessa nel giugno 2008 a carico dei c.d. “Basilischi”, il giudice riconosceva l’esistenza di un vincolo mafioso tra gli imputati (con veri e propri rituali di affiliazioni, con il riconoscimento di un boss, poi “pentito”, Gino Cosentino e con l’avallo di famiglie mafiose calabresi).

Sono questi, “Revival” e “Basilischi”, i due ultimi casi di imputazione per associazione a delinquere di stampo mafioso in Basilicata.

 

Il “nuovo mondo” della prostituzione.

Di Giampiero Calia – Dicembre 2012

 

ROMA – La prostituzione oggi viene esercitata anche tramite “acchiappo” su internet. Il fenomeno è relativamente “nuovo”. La maggior parte delle ragazze sono di origine sudamericane; non sono stanziali: molte fanno la spola da una città all’altra. Filo comune che lega tale “nuova” forma di prostituzione sembra essere rappresentato da “bacheche” virtuali su internet dove ognuno (sono in maggior parte donne, ma anche “transessuali” e uomini) presenta la propria “merce” (spesso contraffatta, nel senso che ciò che viene presentato può non corrispondere alla realtà) e descrive le proprie prestazioni.

Ma cosa c’è dietro questa “vendita” di prestazioni sessuali e come funzione l’acchiappo?

Abbiamo detto che la maggior parte di loro sono extracomunitari (in particolare sud americane), non sono immigrati “irregolari”, nel senso che hanno regolari passaporti con visto turistico, valido sei mesi.

Non si tratta quindi, in tali casi, di immigrazione clandestina o di traffico di esseri umani e, a parte i casi più eclatanti (purtroppo noti alle cronache) di chi viene portato in Italia con la promessa di un lavoro e poi si trova a vendere il proprio corpo (dietro minacce, vessazioni, ecc.), molte di loro, in questo periodo di visto turistico, oltre ad “offrire” le loro prestazioni sessuali a pagamento, “sperano” in un contratto di lavoro (che le consenta di avere il permesso di soggiorno) o in un incontro che le porti dritto al matrimonio (ed al relativo permesso di soggiorno).

In tali casi, quindi, se c’è e quando c’è una qualche forma di sfruttamento, questa si celerebbe (non più come nel passato nel “pappa” che proteggeva le donne da eventuali aggressioni) ma nell’organizzazione della promozione (le inserzioni sui vari siti internet di incontri per adulti da chi vengono scritte? e come vengono inserite? Chi gestisce i siti? e come questi vengono gestiti?, ecc.) ovvero della logistica (affitto di appartamenti, ecc.).

La “strana” storia del Parco Macamarda 

Di Giampiero Calia – Novembre 2012

 

MATERA – I tempi di realizzazione delle opere edili (soprattutto quelle“pubbliche) sono notoriamente lunghi. Vi sono poi le opere incompiute (i cui lavori cominciano e non finiscono ovvero sono realizzati ma mai utilizzati). E poi vi sono quelle opere che sulla carta (il progetto iniziale) risultano in un modo, ma poi, per vicissitudini varie (i lavori vengono interrotti e poi ripresi – vuoi per motivi economici vuoi per motivi politico amministrativi -, ovvero i lavori sono previsti da una normativa che poi viene modificata – è questo il caso, ad es., dei lavori PISU 2004 di cui parleremo più avanti, ora soppiantata da PISUS 2010-), sono radicalmente modificate.

A quest’ultima categoria di lavori pubblici appartiene la realizzazione del Parco Macamarda a Matera. Tale parco sorge su di una collina ed insieme ad altri di simile configurazione faceva parte dei lavori pubblici stabiliti dai Pisu (Pacchetto Integrato di Sviluppo Urbano) del 2004, di cui tocca parlare perché quei lavori sono davanti ai nostri occhi e perchè due dirigenti del Comune di Matera sono stati rinviati a giudizio per vicende ad esso legate.

Dicevamo che si tratta di una collina che un tempo (prima che sul finire degli anni 80 si decidesse di lottizzare a centro direzionale) era uno dei polmoni verdi cittadini ed in cima al quale sorge un campo di atletica leggera. Lo spazio da assegnare a Parco era già ab origine ridotto rispetto alle dimensioni della intera collina. Fatto sta che attualmente come frutto di quella previsione urbanistica ci sono: alcune “alberelli” (in realtà piantati solo di recente), le “tracce” di un’illuminazione pubblica  ed un breve passeggio in pietra; il resto sono strutture appena abbozzate (di cui non si capisce l’utilità); il tutto ad uso e consumo di qualcuno (presumibilmente residenti in zona) che ci porta a spasso il proprio cane e di quelli che ci vanno a fare footing (coraggiosi entrambi perché, tra l’altro, manca  un’illuminazione artificiale pubblica).

Ormai da tempo risulta però esserci una novità (ma purtroppo, si teme, non nel senso del compimento del Parco): lì dove c’era l’unico fabbricato in parte costruito ora sorgono un campo di pallavolo ed un campo da tennis entrambi chiusi da cancello (non accessibili pubblicamente) e gestiti da una “fantomatica” (costituita ad hoc in una con la realizzazione dell’impianto sportivo) associazione sportiva (a gestire la quale, o almeno solo le strutture, un signore che in passato ha fatto politica a livello cittadino – in una delle giunte comunali – e tra l’altro, costruttore).

I lavori di riqualificazione del Parco sono ripresi proprio contemporaneamente alla realizzazione, in tempi record, di quest’impianto sportivo attrezzato. Mentre, dunque, i lavori per la realizzazione (nella maniera appena “abbozzata” di cui dicevamo) del Parco sono durati otto anni, la struttura (a volte coperta da un tendone, altre no) è stata messa sù in tempi record ed è operativa dall’estate 2011 con tanto di orari e tariffe (al momento è gestita da “Match point Matera”, di cui però non risultano nè ragione sociale, nè forma giuridica).

Insomma pare che tutta la riqualificazione del parco sia servita da pretesto per realizzare quello che risulta essere un vero e proprio “business”.

Tali lavori di riqualificazione, appaltati ab origine in virtù del previgente strumento urbanistico dei PISU, hanno subito interruzioni, a detta di alcuni abitanti della zona,anche per il fallimento di una delle ditte interessate ai lavori.

L’assessore ai lavori pubblici del comune di Matera, avv. Maria Pistone, a dicembre scorso aveva annunciato la scadenza del bando per l’affidamento degli impianti sportivi di proprietà comunale (almeno per la parte relativa all’incanto).

Ma la “fantomatica” Match point (collegata a sua volta con una onlus, la AICS, di cui è presidente, a livello provinciale, un “costruttore” materano, Nicola Andrisani), già di fatto (e, diremmo, in maniera abusiva) gestiva l’impianto prima di ogni notizia relativa a bandi di sorta.

Per quanto riguarda, infine, la scelta di realizzare tale impianto, vi è da dire che tra gli impianti già esistenti, di proprietà comunale, ve ne sono alcuni (il circolo tennis ed il nuovo campo da tennis sito sul parcheggio in via Macamarda, il Palazzetto di via delle Nazioni Unite, il Palazzetto di via dei Sanniti, per non dire del centro polisportivo polifunzionale costruito e mai entrato in funzione a Serra Rifusa) già adibiti (o comunque compatibili) per le stesse discipline sportive oggetto di attività (si badi bene, economica, nonostante non risulti un solo soggetto titolare di partita IVA) da parte di quest’accoppiata Match – AICS.

 

[1] “Mafie del mio stivale”, Enzo Ciconte, Manni editore