editoriali

Quel che resta del movimento no global

Il G8 di Genova del luglio 2001 ha segnato uno spartiacque non solo per la Repubblica italiana (macchiata da un chiaro vulnus di democrazia, sancito anche da una sentenza della Corte europea di Strasburgo) ma anche per il movimento nato due anni prima a Seattle.

Un movimento che si consolida a Porto Alegre nel gennaio 2001, dove si organizza il primo World social forum e dove si danno appuntamento organizzazioni e sigle delle più disparata (questo poi sarà il tratto distintivi di tutto il movimento cd “no global”) in contrapposizione al forum economico internazionale di Davos.

Gruppi non governativi piantano il seme di quella che diventerà una vera e propria “rete” a livello globale (a dispetto del nome del movimento) per la difesa dei diritti e contro il sistema economico neoliberista e capitalistico e danno vita al movimento no global ed ai vari social forum, battendosi essenzialmente contro lo strapotere economico delle industrie multinazionali, contro lo sfruttamento a livello locale delle peculiari realtà territoriali. Ben presto viene assunto a portavoce ideale del movimento lo scrittore dissidente Noam Chomsky.

Lo scrittore canadese al world social forum del 2003

In Italia, a Genova nel luglio del 2001, saranno trecentocinquantamila (raccolte sotto sigle, associazioni e organizzazioni, che vanno da organizzazioni cattoliche come pax Christi e rete Lilliput, passando per sigle sindacali – in particolare i Cobas – e partiti politici come rifondazione comunista e fino alla realtà variegata dei centri sociali) le persone che si danno appuntamento per una tre giorni di manifestazioni in contemporanea con l’appuntamento del G8 a cui prenderanno parte, tra gli altri, i primi ministri e presidenti in carica Berlusconi, Bush e Putin.

Un momento degli scontri durante le manifestazioni a Genova (foto: wikipedia)

Quello degli incontri per aree tematiche (immigrazione, ambiente, redistribuzione delle risorse su tutto) sarà una caratteristica costante del movimento e dei vari social forum che si formeranno a livello italiano ed internazionale (sulla scia del Genoa social forum).

Incontri per aree tematiche e “rete”, dunque, i principi di merito e di metodo alla base di un movimento che è stato “operativo” almeno fino al 2010 (nel frattempo si svolgeranno annualmente, in gennaio, i social forum mondiali tra cui quello di Mumbai del 2004 e di Nairobi del 2007).

L’esigenza di informare e diffondere era anche alla base del movimento con la ricerca costante di nuove forme di comunicazione, proprio mentre prendeva piede, anch’esso a livello globale, il web ed internet. E sarà proprio il nuovo modo di comunicare che fagociterà il movimento (mentre i casi prima di Assange e poi di Snowden si prenderanno i riflettori internazionali soprattutto in materia di controinformazione anti governativa). Così come la stessa rete creerà i nuovi player economici globali (google, amazon, facebook).

Ma l’eredità di quell’esperienza sta nel cambiamento che hanno subito le entità “politiche” come il G8 (nel frattempo diventato G7 per via delle sanzioni imposte alla Russia per l’invasione della Crimea), il G20 o il forum di Davos, diventati nel frattempo (mentre il vero luogo del potere diventava la finanza – soprattutto quella dei colossi del web -) luoghi in cui oggi si discute proprio di ciò che denunciavano e chiedevano i no global: ossia redistribuzione, cambiamenti climatici, migrazioni. E nella pratica di molti di coloro che hanno vissuto quel movimento di quello che era il motto della rivoluzione zapatista di liberazione del Chapas: “pensare globale e agire locale”.

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