Lukascenko, l’Europa e la rotta balcanica dell’immigrazione
Lungo la rotta balcanica giungono nel vecchio continente ogni anno decine di migliaia di migranti; nel 2016 è stato toccato il picco con circa un milione di profughi (soprattutto siriani in fuga dalla guerra civile) che hanno attraversato le frontiere lungo i tre percorsi principali di tale rotta.
Quello che sta accadendo al confine tra Bielorussia e Polonia, alla frontiera di Kuznica, è solo l’ultimo esempio di come i migranti (provenienti soprattutto da Afganistan, Siria e Iraq, dunque profughi) vengano trattati lungo la rotta che parte dalla Turchia per arrivare in un’Europa di cui molti di questi Stati non ne sono pienamente membri.
Era già successo, lo scorso inverno, al confine tra Bosnia Erzegovina e Croazia; e prima ancora in Serbia, dove a Belgrado era ammassati centinaia di migranti in rifugi di fortuna nei pressi della stazione ferroviaria.
Ma la questione si è posta soprattutto nel 2016, in piena emergenza profughi in Europa, quando in particolare i governi di Grecia, Macedonia del nord, Ungheria, Serbia, e finanche l’Austria, hanno eretto muri ai loro confini per arginare un flusso di migliaia di immigrati al giorno.
Quali le contropartite politiche che questi governi giocano o hanno giocato nel recente passato?
La Turchia pur dibattendosi al suo interno e nella comunità internazionale del suo ingresso nell’Unione Europea, è quanto di più lontano possa esserci dagli standard d’ingresso posti dalla Commissione Europea, soprattutto in materia di diritti umani e del rispetto dei trattati internazionali.
Albania, Serbia, Bosnia Erzegovina, Paesi anch’essi che per motivi diversi non fanno parte dell’Unione Europea, non solo sono di transito per i migranti ma sono essi stessi Stati di provenienza di milioni di immigrati in tutta Europa.
La Bielorussia, invece, è politicamente molto vicina alla Russia di Putin. Ed aver radunato centinaia di migranti alle frontiere con la Polonia è il prezzo di una contropartita che vede in ballo anche interessi economici. Il governo di Minsk ha infatti prontamente sospeso l’erogazione del gas che transita dal suo Paese verso la Germania, in particolare.
La rotta balcanica comincia dalla Turchia, avamposto dell’Europa, è qui che si radunano gli immigrati clandestini. ad Istanbul in piazza Aksaray.
La Turchia rappresenta una sorta di visto d’ingresso per gli immigrati. E’ qui che comincia, quanto meno per bengalesi, cingalesi, pakistani, afghani, iraniani, irakeni e siriani (queste le popolazioni in gran parte preponderanti che attraversano la cd rotta balcanica), l’Europa. L’entità di cui però il Paese di Erdogan non vuole entrare perché politicamente spesso fa da ago della bilancia in diverse questioni di ordine geopolitico, soprattutto con i Paesi ex URSS (dalla Turchia passa la più grossa fornitura di gas per l’Europa) e con quelli mediorientali.
la Turchia infatti politicamente ha giocato un ruolo di rilievo sia proprio per la questione immigrazione (nel 2016 ha ricevuto dall’Unione Europea su proposta dell’allora cancelliere Merkel circa tre miliardi di euro per contrastare quello che era diventato un vero e proprio esodo verso i Paesi europei) che nei due conflitti mediorientali di Siria e Libia.
Spesso la rotta balcanica tocca anche l’Italia (solo lo scorso 15 novembre sono sbarcati nel Salento circa duecento migranti). Solo che il nostro paese non gestisce l’immigrazione, in cambio di contropartite economico-politiche, sulla pelle stessa dei migranti.