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I nuovi equilibri del populismo globale

Oggi si chiamano “fake news” per via soprattutto dell’utilizzo del termine (durante la cerimonia di insediamento alla Casa Bianca) da parte di quello stesso Trump che ne ha sempre fatto largo uso (basti pensare all’accusa di non essere cittadino americano che lanciò, quando ancora non era candidato, all’allora presidente Obama).

 

Quello delle fake news è  un comportamento molto usato in “epoca populista”, già noto come vera e propria tecnica da regime dittatoriale (la propaganda di regime si basa proprio su notizie costruite ad arte) o da servizi segreti (e lo sa molto bene il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin). Ma anche come strumento di marketing politico, in particolare il presidente americano Donald Trump dimostra di saperlo maneggiare molto bene.

Putin, prima di diventare presidente della Russia post comunista come successore di Boris Eltsin nel 1999, è stato dirigente del KGB. Durante i suoi quasi vent’anni di presidenza (è stato rieletto per la quarta volta lo scorso marzo) diverse fonti hanno tirato in ballo contemporaneamente i servizi russi e lo stesso presidente per molti episodi “misteriosi”: l’eliminazione delle “spie” russe (da Litvinenko in poi) o di oppositori politici come Boris Nemtsov (ex vice premier e uno dei principali oppositori della politica di Putin, in particolare per quanto riguarda l’Ucraina), la morte della giornalista Politkovskaya, la repressione del dissenso (con fermi e arresti soprattutto del principale oppositore di Putin,Aleksej Navalny).

Due interventi militari poi, in Cecenia (nel 1999) ed in Ucraina (nel 2014), hanno accresciuto la popolarità di Putin che ha fatto leva sul forte sentimento patriottico/imperiale dei russi.

Insomma i presidenti dei due tra i maggiori Stati – player mondiali, Putin e Trump, in quanto a populismo viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda. Non è un caso che lo stesso Trump sia attratto dalla figura di Putin e che sia accusato di aver di aver avuto rapporti (tramite suoi collaboratori) con i sevizi segreti russi per condizionare la campagna elettorale americana del 2016. Di populismo in populismo. Lo “scandalo” Cambridge Analytica ha portato alla luce la pratica di utilizzare i dati sensibili (oggetto di transazioni economiche con i “giganti” del social web come face book) di milioni di persone per condizionare il comportamento degli elettori (ciò che è provato per le elezioni americane del 2016; sospettato per il referendum sulla “Brexit” del giugno 2016); anche se, ad onor del vero, lo stesso staff di Barak Obama avrebbe usato lo stesso meccanismo per le elezioni del 2011.

Lo stesso Kim Jong Hun, da più di una parte, è sospettato essere egli stesso una fake news, in quanto nemico di comodo creato ad hoc dagli Stati Uniti (il riavvicinamento con la Corea del sud ed i contatti avuti con l’ex capo della CIA Mike Pompeo ne sarebbero una prova).

Anche sulla Siria, infine, si sarebbero giocate le carte delle fake news (il ministro degli esteri russo, Lavrov, che ha affermato che l’attacco chimico a Goutha est è stato orchestrato da forze occidentali) ma anche della diplomazia inaspettata di Trump (aveva infatti annunciato la risposta militare all’attacco chimico via twitter qualche giorno prima e lo stesso è avvenuto quindi con le contraerei siriane già pronte a rispondere).

     

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