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L’autonomia differenziata e la sanità pubblica

Il disegno di legge sull’Autonomia Differenziata (firmato dal leghista Calderoli) è passato al vaglio del Consiglio dei Ministri. Un provvedimento che è sul tavolo dei diversi Governi che si sono succeduti da Gentiloni in poi.

Proposto dopo i referendum regionali in Veneto e Lombardia nel 2017, è stato cavallo di battaglia soprattutto della Lega. A dare man forte, poi, anche l’Emilia Romagna dell’attuale governatore Bonaccini. Sulle barricate, invece, le regioni del Mezzogiorno, soprattutto Puglia e Campania.

Una vera e propria levata di scudi da parte di economisti, giornalisti e uomini di cultura che avevano ravvisato nel provvedimento una “secessione dei ricchi” a danno dell’intero Mezzogiorno d’Italia.

Rispetto al provvedimento iniziale presentato all’indomani dei Referendum, è stato accolto il principio dei Lep (Livello essenziale delle prestazioni) piuttosto che quello della “spesa storica” per singola regione. Rimaste invece invariate le materia che, dalla competenza statale, passerebbero a quella delle Regioni, secondo il meccanismo previsto dall’art. 116 della Costituzione, tra queste la Sanità.

Un comparto, quello della sanità pubblica, messo a dura prova dall’emergenza Covid e che, ad oggi, in diverse regioni registra un aggravio di ritardi rispetto ai tempi delle prenotazioni e carenza di personale. In Basilicata, ad esempio, si sono susseguite manifestazioni e proteste per denunciare la situazione.

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