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La balena preistorica, ovvero il viaggio di Giuliana dal Pleistocene ad oggi

Giuliana è il più grande fossile di balena mai rinvenuto e deriva il suo nome dal lago artificiale in cui è avvenuto, nel 2006, il ritrovamento (la diga di san Giuliano, in agro di Matera) dei fossili di un cetaceo del Pleistocene.

“Un milione di anni fa..” – recita la canzoncina. Ma è esattamente (secolo più, secolo meno) il tempo rilevato non con le radiazioni al carbonio ma tramite “uno studio comparato” che prevede anche la datazione del plancton.

A quell’epoca, dicevamo, là dove ora c’è un bacino d’acqua artificiale c’erano le profondità marine di un Mediterraneo che era quasi un oceano. Ed è così che i frammenti ossei (del cranio soprattutto, ma anche di scapole e omero) si sono conservati nei millenni, ossia nell’argilla e nel limo.

Sono rimasti lì poi, sulle rive del lago San Giuliano, fino al 2011, quando i resti sono stati recuperati; e poi, siamo già nel 2013, messi in sicurezza.

“La messa in sicurezza – ci spiega una restauratrice dell’impresa veneziana Lithos (che procede al recupero ed alla conservazione dei fossili) – prevede l’inserimento in “boccioni” per conservare i resti in altrettante casse, numerate e dal peso di svariati quintali”. Undici casse solo per i frammenti del cranio del mammifero. Casse che poi sono state aperte nel 2021.

E’ siamo ad oggi quando, per volontà della direttrice del Museo Archeologico “D. Ridola” di Matera, si è dato il via agli attuali lavori di pulitura dei frammenti. Ed in quelli che ora sono dei laboratori si lavora con alambicchi e soluzioni (goccia a goccia, piano piano) per far emergere i frammenti di uno scheletro (che intero sarebbe lungo una ventina di metri) da quello che è un misto di fango e limo, fossilizzato per un milione di anni.

Oltre alla Lithos è impegnato, in questo delicato lavoro di recupero, il dipartimento di Paleontologia dell’Università di Pisa. E su una delle casse su cui stanno lavorando è intervenuto pure l’Istituto Centrale del Restauro.

Tutto questo delicato lavoro, diviso in più fasi, e che è stato anche aperto ai visitatori, è finalizzato a quella che auspicabilmente sarà l’esposizione di questo enorme scheletro negli stessi locali del Museo Archeologico di Matera.

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